“Molte liturgie sono davvero nient’altro che un teatro, un divertimento, con tanti discorsi, grida, rumori strani, danze, movimenti corporali che assomigliano ad altre manifestazioni, mentre dovrebbe essere il momento di un incontro personale e di intimità con Dio”. E’ quello che ha detto il cardinale Robert Sarah (nella foto) durante il convegno che giovedì 14 settembre, all’Angelicum di Roma, ha aperto la celebrazione per il decennale del motu proprio Summorum Pontificum, la lettera di Benedetto XVI che riabilitava la forma preconciliare della Messa in rito romano. Ecco tutti i dettagli.
IL CONVEGNO ALL’ANGELICUM DI ROMA
Sul sito del Washington Post il giorno precedente all’evento campeggiava un articolo intitolato “Gli appassionati di Messa in latino festeggiano l’anniversario di dieci anni, senza il Papa”. E di sicuro l’idea che proprio la settimana scorsa Francesco abbia pubblicato il motu proprio Magnum Principium – dove, confermando l’idea che “la riforma liturgica è irreversibile”, ha modificato le norme sulla traduzione dei testi liturgici dando maggiore centralità alle conferenze episcopali – farebbe pensare che c’erano tutti i requisiti per alimentare una narrativa della contrapposizione. Eppure, ad ascoltare i relatori del convegno, non sembravano spirare forti arie di risentimento.
I NUMERI DEL RITO ROMANO, CHE FA CRESCERE LE VOCAZIONI DEI GIOVANI
Al contrario si sono passati in rassegna i dati sugli effetti della lettera di Ratzinger, un “bilancio in gran parte positivo”, con una crescita delle vocazioni dei giovani, in netta controtendenza rispetto al resto della cattolicità. “Le comunità tradizionali crescono e le vocazioni avvengono la dove la liturgia tradizionale prende vita”, ha rivelato padre Vincenzo Nuara. “Specialmente in Francia e negli Usa, ma anche nell’estremo Oriente e nell’Europa orientale”, ha poi dettagliato Mons. Guido Pozzo, segretario della Pontificia commissione Ecclesia Dei: “Discreta l’accoglienza in Italia, anche se più intensa in alcune regioni”. I numeri lo sottolineano: dal 2007 al 2017 le messe celebrate con rito romano in Francia sono passate da 121 a 221, in Germania da 54 a 153, negli Usa da 230 a 480.
MONS. POZZO: “CELEBRARE IN RITO ROMANO SIGNIFICA GUARDARE CON SPERANZA AL FUTURO”
Le difficoltà riguardano “la vulgata diffusa nella recezione del Concilio Vaticano II, basata erroneamente sulla discontinuità con la tradizione e con l’insegnamento della Chiesa”. Ma il discorso non è “di natura quantitativa, ma qualitativa”, contro cioè “l’arbitrarietà che fa scomparire i mistero e il carattere sacramentale dell’eucaristia”, ha spiegato il monsignore. “Non si tratta di contrapporre il Summorum Pontificum alle riforme del Concilio ma di attuarne la continuità, perché vengano rese fruttuose. Celebrare il rito antico significa guardare con speranza al futuro”, in opposizione a “ciò che papa Francesco chiama l’autoreferenzialità dei cristiani: la liturgia è opera di Dio o non esiste”.
I PARTECIPANTI, DA VARI PAESI, ALL’INCONTRO SUL SUMMORUM PONTIFICUM
Vi erano poi i partecipanti, entusiasti, venuti a Roma da diversi Paesi per pregare e per celebrare la bellezza del rito romano, in un pellegrinaggio di tre giorni che si concluderà alla fine del convegno, il 17 settembre. L’incontro si dichiara essere voluto proprio da loro, religiosi e non, arrivati da tutta Europa e oltre. C’erano laici, sacerdoti, monaci, suore, provenienti da Spagna, Francia, Germania, persino dalla Lapponia svedese. E poi dall’America Latina, oppure dall’Oriente, con una delegazione specifica da Hong Kong. E la prima giornata si è conclusa con i vespri di mons. Georg Gänswein nella basilica di S. Marco al Campidoglio, in occasione della festività dell’esaltazione della Santa croce.
IL CARD. GERHARD MULLER: “LA LITURGIA È FORMA DEL SENSUS FIDELIUM“
Infine, gli interventi degli ospiti. Come quello del cardinale Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che ha enunciato un’articolata spiegazione teorica e citato più volte il Concilio Vaticano II, a partire dal quale la Chiesa è “da intendersi come strumento di Dio” e, “allo stesso tempo, come segno compiuto della sua presenza nel mondo”. “La liturgia non è un costrutto dei primi cristiani ma un’eredità propria degli apostoli, e il rito, nella sua forma, è una realtà viva”, ha detto Müller. Tuttavia “non si può fare una traduzione dei testi liturgici senza una permanente partecipazione e una vita dentro la liturgia. Non posso immaginarmi un sacerdote o una conferenza episcopale che non celebra quotidianamente la Santa messa: come potrebbe fare una buona traduzione?”. Spiegando che “la liturgia è la forma originale del sensus fidelium, che non viene dalla lettura dei giornali e da ciò che si dice alla gente, ma dal contatto con Gesù mediante la fede”.
TUTTI I NOMI DEI RELATORI DELLA PRIMA GIORNATA DEL CONVEGNO
Ci sono stati poi gli interventi dell’abate del monastero benedettino di Fontgombault Jean Pateau, dello scrittore tedesco Martin Mosebach, del sotto-segretario del Pontificio consiglio per i testi legislativi mons. Markus Graulich, fino a quello del prefetto della Congregazione per il culto divino, il cardinale Robert Sarah, che ha tenuto una relazione su “Il silenzio e il primato di Dio nella sacra Liturgia”. I toni del cardinale, dopo aver ricordato le parole di Ratzinger sulla “dimenticanza di Dio” come “pericolo pressante del nostro tempo” e lanciato alcune stoccate sul “secolarismo sempre più aggressivo”, sono concilianti, e trovano un pubblico ammirato. “Dio vuole l’unità nella sua Chiesa”, ha detto Sarah. “Il Concilio Vaticano II ci insegna che la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e al tempo stesso la fonte da cui promana tutta la sua energia”. Che però spesso, nelle sue celebrazioni, viene “depauperata del pieno incontro con Cristo”.
L’INTERVENTO DEL CARD. ROBERT SARAH: “MOLTE LITURGIE SONO UN TEATRO RUMOROSO”
Sarah ha così affermato che vi sono celebrazioni “inaccettabili, che riducono qualcosa che nella sua essenza è soprannaturale con qualcosa che è meramente naturale”: la liturgia “non è luogo della creatività o dell’’adattamento, ma il luogo del già dato”. Perciò “le nostre Chiese dovrebbero essere belle espressioni del nostro amore a Dio, i nostri ministri dovrebbero dare tempo e prova della preparazione di tutte le espressioni liturgiche”. “L’Africa, l’Asia, l’America latina dovrebbero riflettere, con l’aiuto dello Spirito santo, sulla loro missione umana di inculturare la liturgia, che dovrebbe avere il solo primato di Dio”, e che “non è il luogo dove celebriamo le identità, promuoviamo la nostra cultura o i valori delle comunità locali”. L’idea di base, perciò, è che sulla liturgia si gioca il futuro del cattolicesimo. Ma al di là del confronto, la volontà è quella di attuare una “riconciliazione”, la cosiddetta “terza via”. Un incontro tra il “vecchio ordine” e il nuovo.
L’INCONTRO TRA VETUS E NOVUS ORDO MISSAE, E LA POSSIBILITÀ DI CELEBRARE AD ORIENTEM
“La celebrazione di tutte e due le forme dovrebbe essere un elemento naturale della Chiesa”, e se ne può ricavare “mutuo arricchimento”. Ma l’idea di imporre un rito ibrido “è assolutamente fuori dalla mia intenzione”, ha sottolineato Sarah. Chi vuole celebrare rivolgendosi Ad orientem lo può fare senza problemi. “Questa venerabile pratica non è ristretta nell’uso antico ma è permessa e appropriata, e io insisto che è vantaggiosa”, ha rimarcato. “C’è chi dice che sto prestando troppa importanza ai dettagli, ma, come in un rapporto d’amore, questi sono importanti. Quando i piccoli rituali diventano realtà che non esprimono più il mio cuore e la mia anima, vi il pericolo che il mio amore a Dio si raffreddi”.
LE PAROLE DI SARAH AI “TRADIZIONALISTI”: “NON DEFINITEVI COSÌ. SIETE ROMANI COME ME O IL SANTO PADRE”
E se per qualcuno, a fare da sfondo all’evento, restava l’idea di una sorta di contrasto, di un rito “extraordinario” che caratterizza la frangia “tradizionalista” e con il quale chi si identifica in Bergoglio con animo più militante fa fatica a riconoscersi, è lo stesso Sarah a fare chiarezza. “Alcune persone si chiamano cattolici tradizionalisti, e mettono un trattino tra i due termini: per favore, non lo fate più”, ha detto il porporato rivolgendosi all’auditorium. “Voi non siete tradizionalisti, siete cattolici del rito romano come me o il Santo padre. Non siete di seconda classe, o membri particolare della Chiesa a motivo delle vostre pratiche spirituali. Siete chiamati da Dio, come tutti i santi, a prendere il vostro posto nella Chiesa e nel mondo di oggi. Se non avete lasciato ancora le catene del ghetto tradizionalista fatelo oggi”.
ETTORE GOTTI TEDESCHI E “L’ECONOMIA DELLA LITURGIA”: “LA MISERIA MORALE CAUSA QUELLA MATERIALE”
Tutto ciò nonostante il fatto che, parlando di Vetus Ordo Missae contro Novus Ordo Missae, per Ettore Gotti Tedeschi – che ha tenuto l’intervento conclusivo sul singolare tema de “l’economia della liturgia” – il secondo fa rima con Nuovo Ordine Mondiale. L’ex presidente dello Ior è un’economista, non è interessato dal ragionare sulla forma della liturgia, ma sul contenuto. E “aristotelicamente” non sugli effetti della crisi economica ma sulle cause. “La miseria morale è causa della miseria materiale, e parliamo sempre delle conseguenze della crisi economica ma ne dimentichiamo le radici. L’economia non è una scienza ma uno strumento in mano all’uomo, di cui la liturgia ne è la sua formazione spirituale”, ha detto Gotti Tedeschi. “Ratzinger ci ha indicato quali sono i veri bisogni dell’uomo: materiali, intellettuali e spirituali. Se l’economia non si concentra su questi fallisce, perché prende autonomia morale, come scritto nella Caritas in Veritate. Uno strumento può avere autonomia morale? No. È sempre usato da qualcuno per raggiungere un fine”.