Come ogni due anni, da Salisburgo vado pellegrino a Bucarest, dove si svolge uno dei maggiori festival musicali mondiali. Anche se relativamente poco frequentato dagli italiani, al Festival Enescu giungono spettatori da tutto il mondo. Quest’anno, il festival si svolge dal 2 al 24 settembre. I biglietti per i principali eventi si sono esauriti nel giorno di pochi ore, ed in alcuni casi minuti, da quando sono stati messi in vendita all’inizio di febbraio.
Tra botteghino ed internet sono finiti in dieci minuti dalla messa in vendita quelli della serie “Le grandi orchestre del mondo”, i biglietti per i concerti della Filarmonica della Scala con Riccardo Chailly e David Garrett, della Royal Philarmonic di Londra con Martha Argerich e della Israeli Philarmonic Orchestra con Khatia Buniatishvili. Nella serie “I grandi solisti”, sono bastati pochi secondi per i biglietti per Lang-Lang e per il recital di Jonas Kaufmann ed Anoushka Shankar, e poco più di cinque minuti per quelli di Leonidas Kavakos, Gautier Capuçon e Maxim Vengerov. Sono concerti che vengono tenuti in una sala di 4.000 posti o in spazi più piccoli. Di norma se te tengono tre o quattro al giorno di cui uno dedicato alla musica contemporanea alle 11 del mattino in uno degli auditori della radio, due (alle 16:30 ed alle 22:30) di musica di camera, di musica barocca e per formazioni orchestrali contenute ed uno alle 19:30 per grandi orchestre.
Date le mie preferenze, le attrazioni principali erano l’opera Mathis der Maler di Paul Hindemith presentata integrale ma in forma di concerto e la Philarmonia Orchetra di Londra diretta da Vladimir Ashkenazy e con solista il giovane Michael Barenboinm, figlio del più noti Daniel.
Sono anche andato al primo dei due concerti della Filarmonica della Scala. Mi ha colpito la folla. Il concerto si teneva nel più vasto degli auditori, stipato in ogni ordine di posti , e con diverso pubblico in piedi od accovacciato tra le file di poltrone, indicazione che l’attesa era grande.
Il concerto era articolato su due parti. La prima era il notissimo concerto in re per violino ed orchestra Pyotr Ilyich Tchaikovsky. Solista David Garrett, chiamato cross-over star per gli stili musicali (dal rock ai Beatles, alla solistica più ardita) che abbraccia. Sul podio, Riccardo Chailly. Una struttura classica, tripartita con il primo tempo in forma di sonata ed il terzo bravuristico e brillante, incentrato quasi interamente sul solista. Tre brevi bis (a forte richiesta del pubblico) e dieci minuti di ovazioni prima dell’intervallo.
La seconda parte era dedicata alla sinfonia n. 12 in re “L’anno 1917” di Dmitri Šostakovič, opera rivolta non tanto a celebrare la Rivoluzione d’Ottobre (sappiamo quanto il ‘comunista per bene Šostakovič ebbe a patire durante lo stalinismo) quanto la figura di Lenin. I quattro movimenti (ciascuna con un titolo) si riferiscono specificatamente ai “giorni che cambiarono il mondo”. Devo ammettere che la dodicesima non è la sinfonia di Šostakovič che più amo. Come in ogni lavoro celebrativo, ha a mio avviso qualcosa di artefatto. La considero inferiore alla settima sinfonia in do “Leningrado” che trasuda di amore di Šostakovič per la sua città, specialmente durante i nove mesi di assedio tedesco. Chailly e la Filarmonica della Scala sono riusciti a farmela apprezzare, soprattutto il breve terzo movimento (“Aurora” dal nome dell’incrociatore da cui venne sparato il primo colpo di cannone, a salve, contro il Palazzo d’Inverno). Alle ovazioni ed alle richieste di bis, Chailly e l’orchestra hanno risposto con la sinfonia de “I Vespri Siciliani”.