Anche se dall’Ecofin di Tallin non è uscita una posizione univoca sulla web tax i ministri delle Finanze di Italia, Francia, Germania e Spagna – promotori dell’iniziativa – non si arrendono. Al contrario, sperano che la tassa sui colossi del web possa diventare realtà entro la fine dell’anno. Fino ad oggi, complice una legislazione legata alla “presenza fisica”, Facebook e Google ma anche Amazon, Booking e altri giganti della Rete, sono riusciti a fare affari pagando il minimo indispensabile nei nuovi paradisi fiscali dove hanno, strategicamente, fissato la propria sede. Un meccanismo legale che di fatto ha generato un mancato introito per l’Italia, in base allo studio della Commissione Bilancio della Camera, di circa 5 miliardi di euro.
NUOVO VERTICE A TALLIN IL 29 SETTEMBRE
Ciò che è emerso è che i quattro Paesi non sono i soli a reclamare una webtax europea. Insieme a Germania, Francia, Spagna e Italia, si sono schierati i governi di Austria, Bulgaria, Grecia, Portogallo, Slovenia e Romania. E tutti guardano con favore alla presidenza estone che ha preso a cuore il tema al punto che c’è già un nuovo appuntamento, il prossimo 29 settembre, quando si terrà un ‘vertice digitale’ sempre a Tallin per mettere a punto i dettagli. Con un obiettivo ambizioso: tassare il fatturato e non più i redditi facendo dell’Europa un vero e proprio mercato comune. Come? L’imposta si applicherebbe sui ricavi realizzati da imprese estere operanti sul mercato nazionale e prive di stabile organizzazione nello stesso. Non sarebbe un’imposta sostitutiva ma assomiglierebbe all’inglese Dpt, ovvero un’imposta particolare, cioè non contemplata nei trattati che proprio per questo dovrebbe sfuggire alla tagliola dei trattati in vigore perché non espressamente contemplata e non riconducibile alla tassazione di un reddito.
LA LINEA ITALIANA
La questione, come ha detto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è “molto complessa, ma non si può più rimandare”. “C’è una generale condivisione della necessità di introdurre una tassazione delle attività dell’economia digitale”, ha spiegato aggiungendo però che “c’è una differenza di valutazione sull’opportunità di avere una misura transitoria ma immediata, o di aspettare invece che si lavori ad un accordo globale a livello Ocse“.
C’E’ CHI DICE NO
Esiste anche un fronte del no piuttosto variegato: Irlanda, Lussemburgo, Cipro, Malta e perfino l’Olanda sono contrarie ad un intervento in materia. Con la webtax “dobbiamo stare molto attenti, soprattutto a non tassare i prodotti, perché altrimenti i cittadini europei cercheranno altri prodotti, ad esempio dalla Cina”, ha ammonito il ministro danese dell’economia, Kristian Jensen. Più duro quello dell’Irlanda, Paschal Donohoe: “Senza il coinvolgimento dei Paesi del G-20, in particolare gli Usa, non se ne fa nulla“.
SI VA VERSO LA COOPERAZIONE FORZATA
Difficile trovare l’unanimità, quindi, ma pur auspicando di procedere tutti insieme, la presidenza estone di turno dell’Ecofin e la Commissione europea hanno confermato che in assenza del consenso unanime si potrà procedere comunque, sfruttando il meccanismo della cooperazione forzata. Anche se gli esempi che sono andati in questa direzione non sono stati molto positivi, basta ricordare la Tobin tax che non sta funzionando ed è ferma da anni in lunghe discussioni tecniche. C’è anche chi, come Commissione e Parlamento Ue, propone di inserire la tassazione delle imprese digitali nel negoziato in corso sulla Common consolidated corporate tax, la direttiva che punta a creare una base imponibile comune per le imprese, e in un secondo momento ad armonizzare l’aliquota. “Approvarla sarebbe il modo migliore di risolvere il problema”, ha detto il presidente della commissione Econ, Roberto Gualtieri. Probabilmente dare nuovo slancio alla Ccctb sarà una delle proposte che la Commissione Ue inserirà nella lista da preparare entro il summit del digitale del 29 settembre, in modo che i leader Ue possano fare la loro scelta. L’altra sarà quella dei dieci, cioè tassare il fatturato, per evitare di colpire i profitti, facilmente spostabili dalle aziende. Infine, quella della presidenza estone, che propone di superare il concetto di ‘esistenza fisica di una stabile organizzazione’, assegnando alle imprese digitali una residenza virtuale che le costringa a pagare le tasse in tutti i Paesi dove operano. Quel che è certo è che il tema è diventato “non rinviabile”, come ha detto il nostro ministro Padoan. Entro l’anno, dunque, la webtax potrebbe diventare una realtà.