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Vi spiego perché vogliamo il referendum. Parla il ministro degli Esteri della Catalogna

“La parola più importante di questo referendum non è indipendenza, ma democrazia”, ha detto il ministro degli Affari esteri del governo catalano Raül Romeva i Rueda presentando martedì 19 settembre all’istituto Luigi Sturzo di Roma la monografia, edita da IsAG e dalla Delegazione italiana del governo della Catalogna, intitolata “La Catalogna presentata agli italiani: cultura, economia e ambizioni future”.

IL REFERENDUM DEL PRIMO OTTOBRE PER L’INDIPENDENZA DELLA CATALOGNA

“L’80% della popolazione catalana chiede di fare il referendum, che non significa sia favorevole all’indipendenza ma al voto. Il diritto alla manifestazione o alla riunione è la risposta non politica alla domanda della popolazione catalana. Mentre l’80% dei sindaci dovranno dichiararsi alla polizia, che oggi entra anche nelle redazioni giornalistiche, e questa non è una democrazia moderna”. Il primo ottobre in Spagna ci sarà infatti il referendum per l’indipendenza catalana. Madrid ha dichiarato la votazione incostituzionale, o meglio “illegale”, e il procuratore generale spagnolo José Manuel Maza ha annunciato l’avvio delle indagini su 712 sindaci, accusati di appoggiare gli indipendentisti, ad esempio dando la disponibilità delle strutture per il voto. Il procuratore ha minacciato l’arresto in caso di mancata collaborazione con le forze di polizia – il reato di disobbedienza di fronte alla Corte costituzionale prevede diversi anni di carcere – e ha paventato la possibilità di togliere l’autonomia alla Catalogna, bloccandone così le finanze. Ieri sono stati arrestati 13 dirigenti politici pro referendum tra cui Josep Maria Jové, braccio destro del vice presidente catalano.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI CATALANO: “IL PROBLEMA È INNANZITUTTO DEMOCRATICO”

“Se volete capire cosa accade oggi in Spagna dobbiamo riflettere sul tema della democrazia: non è un problema di economia, cultura, lingua, ma democratico. Ed è il momento per porci la domanda: cosa vogliamo essere nel mondo globale?”, ha affermato il ministro catalano, portando la riflessione sul vecchio continente: “Le sfide invitano a cambiamenti nel futuro, e il referendum del primo ottobre è un’opportunità per la Spagna di mostrare che è una democrazia avanzata. In questo modo la popolazione interpella l’essenza della costruzione politica europea: il desiderio è quello di un’Europa più democratica, che ascolti di più ciò che i cittadini vogliono, e di avere la possibilità di arrivarci attraverso un nuovo percorso, dove stabilire nuovi circuiti per la sovranità europea e nuovi strumenti per costruire insieme una nuova democrazia europea”. La sfida quindi, per il ministro, riguarda il mondo globale e un’Unione europea più democratica, con nuovi meccanismi di governo e di rappresentanza. “Meno legati ai pregiudizi ereditati e più basati sullo sblocco delle potenzialità che ci offre il presente e il futuro”.

IL MODELLO DI SVILUPPO CATALANO, TRA DELOCALIZZAZIONI E CAPACITÀ DI REINVENTARSI

Quello della Catalogna rappresenta infatti un vero e proprie modello di sviluppo, è stato spiegato durante l’incontro: una realtà che si affaccia sul mediterraneo, intimamente legata al porto, con una posizione geografica strategica che ne mette in risalto la vocazione industriale. Ma che proprio per questo, con la globalizzazione e le aziende che delocalizzano, vuole reinventare il proprio sistema produttivo ritagliandosi spazi nel mondo delle nuove tecnologie. Consapevole di essere un polo industriale, oltre che finanziario, dove si concentrano la metà delle multinazionali di tutta la Spagna. L’esempio poi della zona franca, amministrata da un consorzio pubblico-privato costituito da circa 300 imprese di spessore, tra cui la Seat, è una chiave fondamentale per comprendere il modello catalano, costruito sulla sinergia tra governo e impresa. Infine c’è il tema delle tecnologie informatiche e telematiche, con la “prima rete al mondo creata e gestita dagli utenti”: “Il big bang che ha consentito alla Catalogna di proiettarsi verso il futuro”, in particolare per quanto riguarda la digitalizzazione della pubblica amministrazione, con la quale già oggi il 45% della popolazione interagisce via internet.

L’EUROPEISMO DELLA CATALOGNA E IL DIBATTITO “DI PORTATA CONTINENTALE”

C’è insomma “la volontà di diventare una realtà politica sociale economica utile a tutti”, ha spiegato Rueda: “Si tratta di un dibattito di portata continentale, che dovrà essere sviluppato e a cui la Catalogna darà apporto come sempre, perché il nostro Paese è stato fatto con l’europeismo come forza di identità”. Tuttavia, quella europeista “non è una volontà senza condizione”, ma per la quale “servono fondamenti politici e democratici solidi. La Catalogna ha sempre guardato all’Europa in cerca di un modello: una realtà colta, felice, ricca, libera. Vogliamo esserne parte, e la volontà espressa democraticamente è la forma del nostro cammino. L’europeismo catalano rafforza la nostra apertura al mondo, non è possibile fare altrimenti”. Ma i rapporti di Madrid con il governatore catalano Carles Puigdemont si sono fatti sempre più tesi. Il primo ministro Rajoy nelle scorse settimane ha accusato gli indipendentisti che promuovono il referendum di “voler distruggere la Spagna”, mentre questi hanno promesso che se vinceranno prenderanno il controllo delle frontiere del nuovo Stato, senza però spiegare come risolverebbero lo scontro con Madrid.

L’ON. TANCREDI (AP): “INSIEME SI PUÒ PENSARE AL SUPERAMENTO DEGLI STATI NAZIONALI”

La domanda che quindi ci si pone è se sia possibile pensare alla Catalogna come a uno Stato dell’Unione europea. “Non c’è dubbio”, ha sostenuto il deputato di area popolare Paolo Tancredi: “Anzi, ritengo che questo sia proprio il percorso”. L’Italia, in particolare, rappresenta il terzo soggetto delle esportazioni catalane, con più dell’80% di tutte le imprese italiane in Spagna presenti nel territorio. “Già Picasso nei suoi scritti riconosceva la peculiarità della Catalogna, ma per quanto l’aspetto culturale sia importante, dobbiamo considerare la Catalogna come un attrattore per gli investimenti, oltre ad essere una porta verso l’interno della Spagna. L’Europa da lì deve ripartire”. L’esperienza della zona franca è poi “da studiare e eventualmente anche portare nelle nostre realtà”. In questo modo, ha proseguito Tancredi, “si può pensare insieme al superamento degli Stati nazionali. La costruzione dell’Europa è a un’impasse, e può essere implementata e avere un colpo di reni, verso il superamento della logica degli Stati nazionali. Non è un endorsement all’approccio autonomista, ma l’auspicio della nascita di logiche utili a tutti”.


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