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Rolling Stone adesso suona musica cinese

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La prima copertina fu per John Lennon. Poi arrivò il faccione disincantato di Bob Dylan ma anche di presidenti degli States come Bill Clinton e Barack Obama e perfino Papa Francesco. Rolling Stone, la storica rivista della cultura hippie americana all’alba dei cinquant’anni di vita, getta la spugna e sta per finire in mano cinese. Un altro colpo all’editoria a stelle e strisce dopo Forbes, il magazine cult della finanza americana come ha già raccontato Formiche.net.

È il South China Morning Post, quotidiano economico di Hong Kong oggi saldamente in mano al boss di Alibaba Jack Ma, a rilanciare la notizia dopo che il New York Times aveva raccolto lo sfogo del figlio dello storico fondatore Jann Wenner sulla crisi dell’editoria e dei debiti che hanno imbrigliato il magazine. In pole position per rilevare la testata di cui già possiede il 49% vi è infatti un fondo di Singapore Bandlab Technologies in mano ad uno dei magnati della nuova Cina, Kuok Khoon Hong che vanta un patrimonio personale di oltre 2,3 miliardi di dollari.

Un altro colpo al cuore dell’American First del presidente Donald Trump che ha impostato una campagna presidenziale dicendo di volere “i cinesi fuori dall’economia americana” ma poi finisce per ritrovarseli sempre tra i piedi. Eh sì che Rolling Stone non è certo da annoverare tra le riviste preferite dai Repubblicani. Al contrario è stata la bibbia dei Democratici e di un certo establishment di sinistra che vedeva rappresentato nel magazine il culto della musica beat anni Sessanta e rock anni Settanta ma anche un luogo di riflessione per una certa cultura alternativa americana alla Jack Kerouac.

Basta guardare come Wenner pensò alla sua creatura, fondando il magazine dal suo loft di San Francisco grazie a 7.500 dollari ricevuti in prestito. Ora invece sono i debiti a pesare sui conti: i 300 milioni chiesti in prestito nel 2006 si sono moltiplicati e spingono Wenner, oggi settantunenne, a cedere la sua quota e a cercare un acquirente che possa rilanciare l’appeal del magazine. Ai debiti in questi anni si è sommato anche il calo della raccolta pubblicitaria e lo spostamento del pubblico dalle edicole al web e il non aver capito che i Millennias più che alla carta stampata patinata preferiscono la gratuità e l’immediatezza della Rete.

Ma non solo. Anche la credibilità di Rolling Stone è stata incrinata nel 2014, quando la rivista è stata costretta a ritirare un articolo su uno stupro di gruppo all’Università della Virginia. Un caso che ha fatto scandalo: un ”fallimento giornalistico” come lo aveva definito la scuola di giornalismo della Columbia University. Un colpo durissimo alla sua reputazione, che è pesato anche sui conti: le tre cause avviate contro il magazine hanno costretto la direzione di Rolling Stone a sborsare 3 milioni di dollari di danni. Ora Wenner e suo figlio Gus sperano di trovare un acquirente che fornisca alla rivista le risorse necessarie per evolvere e sopravvivere. Il magazine ”ha giocato un ruolo importante nella storia dei nostri tempi, da un punta di vista sociale, politico e culturale” affermano Jann e Gus Wenner, augurandosi di poter mantenere la loro attuale posizione di presidente e chief operating officer. Per farlo mettono comunque in evidenza i numeri della rivista: 65 milioni di lettori, di questi 22 nell’edizione online, la gran parte negli Stati Uniti anche se la rivista ha 12 edizioni internazionali, compresa una italiana (dove è finito in copertina anche il segretario del Pd Matteo Renzi) ed una di successo proprio in Asia.

Ma la crisi nell’editoria che ha colpito la famiglia Wenner non è improvvisa. Lo scorso anno aveva ceduto altre due testate, il settimanale US Weekly e il mensile Men’s Journal ad American Media, un editore che a sua volta pubblica riviste con The National Enquirer. Il proprietario di American Media, David Pecker è un grande sostenitore del presidente Donald Trump. E potrebbe essere quello che potrebbe mettere i bastoni tra le ruote ai cinesi. Ma ci credono in pochi: non è infatti interessato a Rolling Stone. Sull’uscio di casa Wenner restano i cinesi di Bandlab Technologies che sono già socio della rivista e si dicono pronti a fare l’ennesimo salto di qualità rilevando quella che una volta era la Bibbia della beat generation e oggi potrebbe raccontare i fasti musicali e culturali della nuova Cina. Segnale inequivocabile che la musica nel mondo è proprio cambiata.

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