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Def, un aggiornamento tinto di rosa

Pier Carlo Padoan, legge di bilancio

Nel corso di una campagna elettorale lunga diversi mesi, il governo ha approvato un aggiornamento del Documento di Economia e Finanza rassicurante (Def): definitiva uscita dalla recessione a due gobbe che ha caratterizzato quasi un decennio, un consolidamento della ripresa graduale, ma costante, nei prossimi due anni, un accordo con l’Unione europea (per avere un maggior margine di manovra in materia di indebitamento delle pubbliche amministrazioni), una leggera riduzione del rapporto debito/Pil, segno comunque di un’inversione di tendenza, l’allontanamento delle clausole di salvaguardia (aumento di Iva ed accise in caso di non raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati con l’Ue).

I “gufi” lamentano che si tratta di un aggiornamento Def elettorale per dire che si cominciano a vedere i risultati del “buon governo” degli ultimi anni. Forse non hanno tutti i torti ma è doveroso riconoscere che la ripresina è in atto e che tanto l’Istat quando il Csc (Centro Sudi Confindustria) hanno pubblicato analisi e previsioni analoghe a quelle confluite nell’aggiornamento Def. L’Istat è l’istituzione statale deputata a questo fine e la Confindustria è l’organizzazione degli imprenditori, che, per definizione, dovrebbe avere un buon naso nel fiutare dove va l’economia.

È pur vero che, nonostante un aggiornamento Def tinto di rosa, non si è ancora fatta la quadra sui conti pubblici. Mancherebbero ancora 5 miliardi per evitare che il disavanzo del 2018 superi l’1,6% del Pil concordato con l’Ue. Ci sono, però, ancora un paio di settimane per negoziare tra ministri (e con le parti sociali) e risolvere il problema contabile.

Più difficile di questa “discrepanza” sono due aspetti: a) la divergenza tra le previsioni italiane e quelle dei gruppo del consensus (i venti maggiori istituti di analisi econometrica e previsionale, tutti privati, nessuno italiano); b) il problema del debito pubblico.

Il gruppo del “consenso” non prevede un rafforzamento della ripresa nei prossimi anni, ma un rallentamento. La media aritmetica delle previsioni 2018 dei venti istituti parla di un aumento del Pil italiano solo dell’1%, nel contesto di un rallentamento dell’eurozona e dell’Ue. A sua volta, tale rallentamento sarebbe causato da determinanti sulle quali né l’Ue né l’eurozona, né, tanto meno l’Italia, hanno controllo. La frenata verrebbe dall’Asia (che per anni ed anni è stata il motore dello sviluppo mondiale) per cause sia economiche sia, soprattutto, geopolitiche. È difficile sapere quanto, nell’aggiornare il Def, se ne sia tenuto conto.

Il debito è l’altro aspetto. La strategia del Def è una riduzione graduale grazie all’aumento del denominatore. Perché funzioni, il Pil dovrebbe aumentare non del’1,5-1,7% l’anno ma del 6-7% l’anno (inconcepibile in una demografia anziana ed in un’economia a bassa produttività); anche se ciò avvenisse, ci vorrebbe più un decennio per raggiungere quel 60% del Pil stipulato nel Trattato di Maastricht. Lo stesso Segretario del Pd, Matteo Renzi, presentando, a destra ed a manca, il suo libro, parla di una patrimoniale straordinaria (che graverebbe principalmente sul patrimonio immobiliare), con toni da “oro alla Patria!”. Ci sono strade migliori. Mi auguravo che l’aggiornamento Def le avesse esplorate.


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