Sui media internazionali si leggono commenti preoccupati circa il futuro della Germania e il suo ruolo internazionale. C’è chi teme che, alla luce di una coalizione (si immagina più instabile) tra Unione (Cdu e Csu), liberali dell’Fdp e Verdi venga meno la sua capacità di stabilizzare l’Unione Europea; chi immagina un governo tedesco la cui agenda politica sarà in futuro dominata principalmente dallo slogan preso in prestito dal presidente americano Donald Trump, “Germany first”, e chi prevede una politica economica nell’eurozona ancora più rigorosa e improntata all’austerity (uno dei capisaldi del programma dell’Fdp).
Di tutt’altro tenore invece i media tedeschi, focalizzati al momento su quel che la nuova compagine parlamentare vorrà dire per la politica tedesca. Certo, l’ingresso del partito nazionalista Alternative für Deutschland, AfD, continua ad animare il dibattito. Non c’è talk show in cui l’ingresso nel prossimo parlamento di 94 deputati AfD, tra questi anche chi non ha mai fatto mistero delle proprie posizioni estreme, finanche neonaziste in certi casi.
Ma leggendo i commenti e seguendo i talk show, c’è però anche un’altra lettura del responso delle urne di domenica scorsa. Un esempio eloquente da questo punto di vista è stato ieri sera il talk show “Hart aber fair” (“Diretto ma corretto”) che tra gli ospiti aveva anche il commentatore e moderatore televisivo Nikolaus Brender e il politologo Werner Patzelt. Entrambi concordavano sul fatto che la situazione attuale è opera in primo luogo di Angela Merkel. Della sua sua strategia di soffocare sul nascere qualsiasi dibattito politico. Per esempio su Pegida, il movimento nato nel 2014, cioè prima dell’AfD, e che ancora si riunisce tutti i lunedì a Dresda per la difesa dell’Occidente contro l’avanzata islamica. Merkel nel dicembre 2014 accusava le persone che partecipavano a quei raduni di avere “solo odio e gelo nel cuore”. A suo avviso quello contro cui protestavano non erano altro che fobie. E proprio questo non voler andare a fondo dei motivi che avevano fatto nascere Pegida ha fatto germogliare l’AfD. Ancora ieri, in conferenza stampa Merkel replicava che, a suo avviso, la grande coalizione non aveva fato errori, ma che i compiti sono molti e non tutti sono stati fatti.
E, proprio per questa cocciutaggine di Merkel, Brender e Platzelt giudicavano giusta la scelta dell’Spd di andare all’opposizione. “Perché se è vero come è vero, che uno delle ragioni per cui l’AfD è entrata nel Bundestag è dovuta alla mancanza di un vero dibattito parlamentare” – spiegava Patzelt, – “Schulz ha preso l’unica decisione possibile. Teniamo presente che negli ultimi quattro anni non c’è di fatto stata un’opposizione. Riguardo alla maggioranza dei temi anche i partiti di opposizione, cioè Linke (Sinistra) e Verdi hanno appoggiato quasi sempre le scelte del governo. Magari chiedevano maggior tempestività, ma la direzione la condividevano. Ma come si sa, quando non esiste un’opposizione esterna ne nasce una extra parlamentare. Se poi le reazioni alla stessa sono pure sbagliate, ecco che si arriva alla situazione di oggi. E ora immaginiamoci che si formi di nuovo una nuova GroKo (Große Koalition, ndr) con l’AfD il partito di opposizione con più deputati. Meglio allora lo scenario di ora, che peraltro rispecchia ora perfettamente l’arco politico dei cittadini. Nella vecchia costellazione parlamentare mancava una parte dello spettro, dell’orientamento politico della popolazione. C’era un buco a destra. Ora questo buco è stato chiuso”.
Una posizione condivisa da Brender il quale ha affermato: “Se l’Spd trova un ruolo tra i due estremi, cioè AfD la Linke, anche questo un partito non esente da frange estremiste, allora non resterà che ringraziare Schulz per questa decisione. Perché questo rafforzerà la democrazia e costringerà i partiti a occuparsi più decisamente dei veri problemi che assillano la società”.
Sulla Süddeutsche Zeitung l’editorialista Heribert Prantl, riprendendo una frase pronunciata nel 2005 da Franz Müntefering, allora capo dell’Spd – “l’opposizione è schifezza” – spiega perché a suo avviso è oggi come oggi, andare all’opposizione sia stato un must per il partito. “Nella parola ‘Verantwortung’ (responsabilità, ndr) è inclusa la parola ‘Antwort’ (risposta, ndr). E’ vero che c’è chi parla molto a se stesso anziché agli altri. Solo che a lungo andare finisce per essere considerato una persona stramba. La norma è, invece, il dialogo con il prossimo. E il capo dell’Spd Martin Schulz questo l’ha capito e comunicato immediatamente dopo la sconfitta cocente del suo partito. Una decisione importante per l’Spd, una decisione giusta per il paese. La Germania ultimamente era un paese senza opposizione, e il conto è stato servito con l’ingresso dell’AfD. La buona politica richiede che il paese sia più importante del partito. E l’Spd si è comportata di conseguenza. Perché un’opposizione ferma è di vitale importanza per il paese. Così come un’opposizione esperta e democratica. E questa è la Spd”.
Anche il quotidiano Frankfurter Allgemeine, normalmente assai critico con i socialdemocratici, questa volta ha approvato la loro decisione. L’editoralista Jasper von Altenbockum scrive: “Non mancheranno ora gli appelli per un nuovo inizio della socialdemocrazia. Anche se poi resta inevasa la domanda, come debba essere questo nuovo inizio? Sigmar Gabriel alla guida del partito è stato un intermezzo. E anche l’era Schulz lo resterà, per quanto lui stesso sia un grande incassatore. Il partito è a un bivio, a determinare il nuovo corso sarà un nuovo leader, o più probabilmente una nuova leader. Per troppo tempo il partito è andato avanti senza veramente una posizione, semplicemente cercando di resistere. Adesso è giunto il tempo di cambiare, un cambiamento che è peraltro nella sua tradizione e che vuol dire, darsi da fare, muoversi. Il primo passo è stato compiuto: andare all’opposizione”.
Infine c’è il commento di Thomas Schmid sulla Welt, quotidiano che lui stesso ha diretto in passato: “L’impressione è stata quella di un atto liberatorio. (…) La decisione di andare all’opposizione è stata presa probabilmente ancora prima della chiusura delle urne, sulla base dei exit poll che annunciavano una disfatta clamorosa. (…) E’ vero che le motivazione che hanno indotto questa decisione possono differire: i militanti e la base vogliono che si chiuda finalmente l’era della grande coalizione (…) Diversa quella della direzione del partito. E’ stata la responsabilità nei confronti del paese a fare da molla. Non a caso la sera delle elezioni si è ricordato ripetutamente il 23 marzo del 1933, il giorno in cui i socialdemocratici tedeschi al Reichstag votarono uniti contro il decreto dei pieni poteri a Hitler. (…) La loro decisione di andare ora all’opposizione presenta però anche aspetti problematici. Il tirarsi fuori dai giochi, non lascia infatti alternative di governo. L’unica coalizione ora possibile è quella tra Unione, Fdp e Verdi. E non è detto che sia la migliore delle soluzioni”.