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Leopolda Blu, 3 idee per il centrodestra

In Italia vi sono ormai due sinistre. Non a caso, all’interno della maggioranza di governo, sta emergendo una netta contrapposizione su come uscire dalla crisi economica. Per far fronte alla disoccupazione, infatti, è necessario riformare il lavoro. Ma questo obiettivo, più di ogni altro, richiede una condivisione di massima delle finalità che ad oggi proprio non si vede.

Com’è già accaduto in altre circostanze, Matteo Renzi vanta di realizzare una politica di sinistra, superando il collateralismo sindacale e abbandonando la rigidità professionale. In realtà, il fatto stesso che il suo partito viva in modo traumatico il Job Act è indice della fragilità intrinseca del ragionamento che il premier porta a sostegno della sua vantata coerenza riformatrice e progressista.
Una discussione questa che, a ben vedere, rinvia all’interpretazione molto controversa dell’idea di sinistra presente nel PD, e della conseguente linea politica, tutt’altro che convincente, portata avanti dai renziani.

Ben più essenziale di questa legittima lotta interna tra le anime socialiste è invece discutere su cosa può identificare un certo orientamento politico comune all’altra parte politica, vale a dire al centrodestra. Perché se, da un lato, si consuma la moltiplicazione del fronte progressista, dall’altro, nel centrodestra, non si trova facilmente la quadratura del cerchio proprio su niente.
Non foss’altro per questo, perciò, anche in vista dell’appuntamento del 18 ottobre, può essere interessante dare qualche suggerimento generale alla discussione.

La ricostruzione della cosiddetta area moderata deve, innanzitutto, muovere i suoi passi dalla ferma consapevolezza che non esiste più una piattaforma politica concreta da cui partire. Dopo il ventennio berlusconiano non sono restati che tanti cocci vuoti. Non è possibile, quindi, pensare in modo intelligente di recuperare lo spirito perduto degli inizi, fosse quello del ’94 o del 2001, e neanche mettersi in testa di poter edificare un’alternativa a Renzi attraverso una leadership, vecchia o nuova, che in questo momento proprio non c’è.

L’unica risorsa disponibile, in una situazione del genere, è l’opportunità che in sé nasconde la mancanza di tutto, rendendo indispensabile, e, perché no, perfino entusiasmante, ricominciare da zero.
Un obiettivo tanto radicale è sopratutto di tipo culturale, ben sapendo che con un’espressione tanto abusata come questa si sottende che è soltanto a partire da alcuni riferimenti ideali che può nascere una nuova aggregazione collettiva che generi motivazione e partecipazione di massa. La politica deve proporre ai cittadini un’immagine e uno stile di vita, dai quali scaturisca poi l’impegno di tutti.

Certo, quello che sarà il centrodestra del futuro non lo sappiamo e non è disegnabile a priori, ma quello che può diventare l’area popolare è circoscritto all’interno di una cornice di idee europee che raccolgano modi di pensare e di esistere condivisi almeno da un certo numero consistente di elettori potenziali.
Ora, tra tutti i riferimenti rintracciabili, io penso che vi siano tre idee attualmente imprescindibili e fondamentali.

La prima nasce dalla saldatura tra politica e identità nazionale. Il centrodestra, proprio in una fase come questa, dove il classismo della sinistra emerge con forza e totale inefficacia, deve farsi portatore di una visione dell’Italia come un tutto comunitario, sorretto da un sentire complessivo che esprima esattamente ciò che siamo. Il bene comune è indubbiamente una sensibilità umana, una concezione specifica della persona e della società, cementati da un riferimento culturale appartenente alla nostra tradizione.

Da questo angolo prospettico, il centrodestra può trovare una sua ragione politica solo se individua coraggiosamente nella famiglia il suo primo valore assoluto, etico ed economico. Famiglia significa, infatti, vedere una società costituita da tante piccole micro comunità affettive, all’interno delle quali si sostanziano, veicolano e trasmettono valori essenziali di convivenza civile, con la trasfuzione da una generazione all’altra di mentalità e costumi nazionali.

Se non si guarda con coraggio alla famiglia come bene comune, si finisce per indebolire o danneggiare la ripresa economica complessiva del Paese. Inoltre, se non si sostiene questo bene originario prossimo alla persona, difficilmente si potrà mai lanciare una sfida credibile alla cultura del centrosinistra, ormai tanto laburista quanto liberale, ma anche tanto libertaria quanto anarchica e individualista.

Senza famiglia, senza comunità, non resta che l’individuo solo, spoglio di ogni specificità e determinazione qualitativa. E l’individuo, inteso in questo modo, è il soggetto di riferimento della sinistra, per sua essenza egualitaria e legalista. La famiglia, viceversa, come sostanza comunitaria è il cuore culturale vivo del centrodestra, da promuovere, quindi, rappresentare e difendere senza cedimenti.

Poi c’è una seconda idea, legata direttamente a quella di comunità. Un centrodestra serio, che voglia far emergere un progetto mirato al tutto nazionale, deve trovare un legame stretto tra politica e religione. Qui con religione non s’intende la fede intima di ciascuno, ma una forma spirituale di vita pubblica comunitaria. Pensare, infatti, che l’uomo sia un soggetto che oltrepassa l’orizzonte materiale significa ritenere che la sua realizzazione massima riposi nella responsabilità e nella libertà. Senza un’idea spirituale della vita, non c’è libertà che sia fondata sul dovere. E senza dovere, resta solo la logica della rivendicazione e della contestazione politicizzata. Laddove manca la trascendenza, oltretutto, non è possibile, in alcun modo, aprirsi al futuro e uscire dal pessimismo cupo che ci strozza socialmente.

Una terza idea è infine la precisa valorizzazione pre politica e pre democratica della natura umana, nella sua oggettività, rispetto alla volontà attiva. Un centrodestra che si rispetti deve proporre dei valori che siano in sé umani e anteriori rispetto all’azione artificiale della politica sopra le persone. Il controllo e la disciplina etica del potere è sorretta legittimamente dall’antropologia, ossia da cosa l’uomo è, e non dalla legge, cioè dalla politica stessa nella sua azione pragmatica. La discussione sul lavoro, cui prima si accennava, presuppone costantemente che l’uomo sia definito dal lavoro e dei suoi diritti individuali, e non viceversa che il lavoro si definisca in rapporto alla persona e ai suoi doveri sociali. E questa seconda prospettiva, incentrata sulla persona e la sua dedizione generosa all’altro, è l’unica valida per il centrodestra.

Spostare l’asse valoriale dal lavoro alla persona, e dalla persona alla sua vita comunitaria, vuol dire riconoscere che la solidarietà e la socialità sono il fine, mentre i diritti formali e il potere i mezzi, in taluni casi indispensabili, ma sempre e soltanto mezzi utili a disposizione.
In sintesi, una ricostruzione del centrodestra è possibile, ripartendo però dalle idee e dalla cultura, e non dalla nomenclatura, e muovendo l’analisi del presente dal riconoscimento di almeno tre principi: l’Italia è una comunità politica sorretta dalla famiglia; la vita personale è naturalmente aperta ai valori spirituali e tascendenti; la considerazione della natura umana motiva, giustifica e limita l’azione politica.

Senza questi tre assunti, d’altronde, difficilmente potrà essere individuata una leadership, mancando i criteri selettivi con cui misurare l’efficacia personale di chi deve raccogliere tale specifica area politica ed elettorale e guidarla al successo.
In Italia, in fin dei conti, vi sono già due sinistre. In futuro si deve fare in modo che di centrodestra ne resti in vita almeno uno, degno però di questo nome. Altrimenti, lasciamo perdere.

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