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Che tristezza come ci vedono da fuori

Italia, un suicidio politico. Ma cos’è? Un augurio di chi ci vuole male? Una previsione di un astrologo da strapazzo? Una maledizione di chi non ne può più del Bel Paese? Un tentativo di addolcire la pillola della fine della penisola, omettendo il possibile suicidio dell’economia, della cultura, e cosi via? O forse solo il tentativo di indebolire ancora di più il prestigio internazionale di un paese che qualche volta mette i bastoni tra le ruote, soprattutto sulla questione della riforma del consiglio di sicurezza dell’Onu?Niente di tutto questo. È solo un titolo, un po’ apocalittico, dell’edizione online di un grande settimanale tedesco che annuncia l’ennesima commedia del parapiglia nella politica interna del nostro paese. Questa volta ad Amburgo però non si sono spremuti le meningi più di tanto. Niente vulcani che eruttano spazzatura, in ricordo di una celebre copertina: una P38 poggiata su un piatto di spaghetti. Erano gli anni settanta di un secolo fa e il terrorismo lacerava la convivenza sociale. In Italia e in Germania, ma lo Spiegel se la cavava cosi.     Oggi il settimanale che ha impedito a Franz Joseph Strauss di diventare cancelliere federale è più prosaico. Fa solo la cronaca di una coalizione che esplode, di una maggioranza futsch, scassata, di un governo ai bordi dell’abisso, di un primo ministro cocciuto. Che succede? Merkel contro Prodi per aiutare Berlusconi? Steimaier contro D’Alema? Assolutamente no.Forse è solo sfiducia nei confronti di un paese incomprensibile che può diventare la zavorra d’Europa. Lo scorso governo, nella persona del presidente del consiglio che era stato anche il ministro degli esteri  di se stesso, aveva capito che in Germania non solo la sinistra, ma anche il campo “borghese” dava un giudizio sull’anomalia italiana a volte più duro degli stessi elettori del nostro paese. Da qui quel clima di “gelida distanza” tra l’esecutivo di centrodestra e il cancelliere democristiano, descritto dalla Frankfurter Allegemeine Zeitung alla vigilia del Natale 2005. Il primo soggiorno a Roma di Angela Merkel non era stato dei più felici. Troppo breve, come ammetteva lo stesso giornale tedesco, e troppo impegnato il governo italiano a preparare le elezioni dell’anno successivo per poter entusiasmare il capo del nuovo esecutivo di Berlino.Proseguendo una tradizione in cui si trova in buona e numerosa compagnia – c’è bisogno di tornare a Calvino che si chiedeva “ma chi sono questi italiani”? – la stampa tedesca si impegna a far comprendere ai suoi lettori il rebus nostrano anche col nuovo esecutivo.Questa volta era Giovanni di Lorenzo, il direttore della Zeit, un giornalista italo-tedesco, uno che l’Italia la conosce bene al punto che, per conto del magazine della Suddeutsche Zeitung, aveva fatto un’inchiesta per spiegare la criminalità della costa jonica calabrese, kalabriska, come dicono a Berlino, a tentare l’ardua impresa.   A giugno del 2006, il direttore  dell’altro settimanale di Amburgo, metteva 15mila battute a disposizione del professore che spiegava come il paese fosse ormai sull’orlo della schiavitù. Il lettore tedesco avrà fatto un salto sulla sedia. L’Italia semi anarchica della pizza e mandolino, il paese che visto dal Bundestag appare “un casino permanete”, il luogo della cuccagna dove finalmente anche i tedeschi possono fare quello che vogliono, quando sono in vacanza, stava diventando una galera?Veramente a dicembre, durante le giornate della spazzatura di Napoli, l’Italia dava invece l’impressione del contrario. Nessuno disposto a prendersi la responsabilità di quello che fa o che ha fatto. Tutti che vogliono tutto. La stampa tedesca, ma non solo, inizia a preoccuparsi. Attenzione a non diventare come l’Italia, ecco il senso degli articoli della cronaca degli ultimi avvenimenti campani.“Non fare come in Italia”. Il pericolo per noi è che questo possa diventare l’unico programma condiviso dell’Europa qualsiasi governo, destra o sinistra, ci sia a Roma. Mefistofele a un Faust annoiato che gli chiede il salvacondotto verso l’entusiasmo risponde, “tu bist am Ende was du bist”. Alla fine sei solo quello che sei. L’Italia è sicuramente qualcosa di più del caos degli ultimi anni.  


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