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Che fare in Afghanistan?

Cosa succede in Afganistan? Che ne è della più importante struttura politico-miliare e della sicurezza occidentale in guerra da oltre quatto anni nel paese dell’Asia centrale?

Il gruppo di ricerca inglese Senlis Council ha appena pubblicato uno studio dove si può leggere che il “paese e il governo Karzai sono sull’orlo dell’abisso”. L’analisi di questa struttura specializzata sui problemi della sicurezza è affidabile in quanto il Senlis Council dispone di una base a Kabul.

A motivo di questo giudizio fallimentare ci sarebbe l’incapacità dei vertici politici della Nato di ammettere la realtà e riconoscere le vere condizioni della sicurezza del paese. Per il Senlis l’incapacità “delle forze locali e internazionali di contrastare l’insurrezione talebana” sarebbe disarmante. Le forze degli studenti coranici avrebbero il controllo totale del sud del paese, guiderebbero governi paralleli in diverse zone  e controllerebbero tutte le vie di comunicazione meno importanti.

Il mandato del governo Karzai scade il 22 maggio 2009 e le legislative dovrebbero svolgersi uno o due mesi prima di questa data. Ma se nell’anno in corso le condizioni della sicurezza nel sud del paese non miglioreranno, difficilmente l’Afghanistan potrà votare. Tale è il parere di un gruppo di consiglieri Nato apparso giovedì sulla Sueddeutsche Zeitung. L’Afghanistan sta diventando un “failed State”?

È interessante notare come il tentativo di minimizzare questi giudizi – sarebbero le potenze anglosassoni a seminare il panico per spingere a un maggiore impegno gli altri governi – fatto dal governo di Berlino venga smentito dagli stessi servizi segreti tedeschi.

In un intervento fatto presso la fondazione Hanns  Seidel il generale Freiherr von Brandis ha affermato che solo la costruzione delle istituzioni democratiche afgane prosegue con successo. Quelle politiche sarebbero invece “estremamente inefficienti”.

Per l’alto ufficiale la sicurezza è peggiorata ovunque. Nord e occidente del paese sono effettivamente più tranquilli e i territori meridionali e orientali sono ad alto rischio. In tutte le province sarebbero però presenti “gruppi o cellule” pronte all’azione. Il flusso di combattenti islamisti provenienti da altri paesi sarebbe cosi alto da “bilanciare le perdite causate dall’azione dell’alleanza atlantica”. Questa la ragione per cui non si vede un calo dell’azione talebana.

Impegnarsi di più come chiedono gli Usa o continuare così? La posizione italiana su questo problema per lungo tempo resterà un rebus. Campagna elettorale centrata su temi locali, insediamento del nuovo governo, arrivo dell’estate e, last but not least, l’ambiguità di tutte le forze politiche del nostro paese, fanno si che non se ne parlerà.

Non è solo Roma a portare avanti una politica attendista. Anche la terza colonna della Nato, la Germania, agisce in un modo che danneggia soprattutto se stessa. Ma a differenza dei governi romani, quelli di Berlino pur non osando un maggior impegno nelle strutture militari atlantiche, non perdono occasione per chiedere alla Nato nuove strategie politico-militari.

Se si pensa che alle forze armate di Berlino presenti in tre continenti, come quelle italiana d’altronde, vengono negati i mezzi per l’azione, si può concludere che la politica tedesca della sicurezza è dominata dalla schizofrenia del “vorrei ma non posso”. Grazie a questa ambiguità i partiti tedeschi possono evitare di spiegare ai propri elettori cosa concretamente significhi  “l’aumento delle responsabilità tedesche dopo la riunificazione”.Il rovescio di questa medaglia è che fino a quando la Bundeswehr verrà mantenuta nello stato di uno strumento tecnico per gli aiuti umanitari l’idea della “Germania potenza pacifica” resterà un vago concetto senza nessuna importanza per le relazioni internazionali. 


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