E’ una guerra latente che si combatte strada per strada, vicolo per vicolo, piazza per piazza.
E’ lo spoil – system della memoria, in un paese – l’Italia – dove una memoria condivisa è una chimera.
Ma come dare torto a Gianni Alemanno se dopo la tanto attesa conquista del comune di Roma vuole intitolare una via a Giorgio Almirante?
Allo storico segretario del Movimento Sociale Italiano, fautore della “Destra nazionale”, ed iniziatore del percorso politico che ha portato la destra italiana allo sdoganamento di Fiuggi, non è dedicato neppure un marciapiede o un vicolo cieco nella città di Via Palmiro Togliatti e Via Carlo Marx (per non pensare a quei comuni emiliani sperduti, nei quali i vecchi ancora ricordano Via Ho Chi Min…).
Ma non ha fatto in tempo a proporre, il neo – sindaco, che si è trovato sommerso dalle polemiche.
E dire che nel forte clima di “discontinuità” che caratterizza l’inizio di consiliatura di Alemanno, questa pareva una delle poche iniziative in continuità con Veltroni, che volle sul palco elettorale il fratello dei fratelli Mattei, assassinati nel rogo di Primavalle.
Cosi, alla Camera dei Deputati un parlamentare del Pd legge lo stralcio di un articolo firmato sul “La difesa della razza” dal suo Vice direttore. Giorgio Almirante, appunto. Perché tutti ricordassero che era un fascista ed un razzista, prima di essere un esponente politico italiano. E costringendo il presidente della Camera Gianfranco Fini, delfino di Almirante e dallo stesso designato alla sua successione (quando divenne segretario del Fronte della Gioventù l’urna avrebbe voluto Marco Tarchi, ma Almirante era di diverso avviso) a rivolgere verso di lui parole di disprezzo.
Una operazione – leggere alcuni dei primi scritti di Almirante – tanto semplice quanto divertente e dissacrante, e dal sicuro effetto iconoclasta. Tanto che varrebbe la pena ripeterla:
Togliatti , Longo, Di Vittorio e Leo Valiani, firmano il manifesto del PCI, nel 1936 che dichiara “Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori” Togliatti in altre occasioni così si espresse: «Giuseppe Stalin è un gigante del pensiero, è un gigante dell´azione. Col suo nome verrà chiamato un secolo intero, il più drammatico forse, certo il più denso di eventi decisivi della storia faticosa e gloriosa del genere umano […]»
Ancora: Giovanni Spadolini su Italia e Civiltà nel febbraio 1944 lamentava che il fascismo avesse perso poco a poco “il suo dinamismo rivoluzionario proprio mentre riaffioravano i rimasugli della massoneria, i rottami del liberalismo, i detriti del giudaismo”. Amintore Fanfani, nel libro Il significato del corporativismo, nel 1941 esalta “i legami che vincolano virtù civica, valore militare, sanità di razza, sentimento religioso, amor di patria”. Inoltre, scriveva che era necessaria “la separazione dei semiti dal gruppo demografico nazionale” poiché “per la potenza e il futuro della nazione gli italiani devono essere razzialmente puri”. Giorgio Bocca sul giornale della federazione fascista di Cuneo nel 1942 scriveva: “Sarà chiara a tutti la necessità ineluttabile di questa guerra intesa come una ribellione dell´Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù”. Eugenio Scalfari, su Roma fascista nel 1942: “Soltanto la diseguaglianza può portarci alla aristocrazia”.
Dovrebbero essere messi tutti in discussione?