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Ecco l’ambientalismo 2.0

Alla fine il movimento ambientalista sembra avere vinto. L’Europa prima, gli Stati Uniti ora con la presidenza di Obama hanno fatte proprie alcune delle storiche richieste che sin dagli Anni ‘70 hanno via via arricchito i programmi dei movimenti (e dei partiti verdi) di mezzo mondo. Efficienza energetica, crescita delle fonti rinnovabili, riduzione dell’importanza del petrolio, automobili più piccole e meno inquinanti, battaglia frontale contro i gas serra, ivi compresi le  tante pericolose emissioni che derivano dalle trasformazioni energetiche…  Non solo. Questo nuovo ciclo di investimenti è visto come un forte stimolo alla crisi economica, allo sviluppo di nuove filiere tecnologiche, alla ricerca, all’occupazione. Bene quindi. Un mondo un po’ più pulito e soprattutto più efficiente dal punto di vista energetico  è sicuramente desiderabile da tutti e quindi benvenuto. Naturalmente non mancheranno coloro che sosterranno che comunque è troppo poco… che “ben altro” ci vuole per fermare la catastrofe ecc. ecc. Ma se esiste, ed esiste,  un “ambientalismo riformista”, che capisce l’importanza di ogni passo in avanti e soprattutto ha l’intelligenza di far sue queste conquiste, non potrà che apprezzarne il contenuto e la direzione di marcia.
E nello stesso tempo spero sappia  adottare  le necessarie cautele  e non  trascuri qualche preoccupazione che si affaccia all’orizzonte. Soprattutto  non abbia la tentazione di stravincere, sappia invece  scegliere  gli strumenti giusti e non fare mosse controproducenti. Il movimento ambientalista, non solo e non tanto la somma dei tanti gruppi ed associazioni, ma soprattutto una più larga ed estesa corrente di pensiero, non congelabile in confini politici  stretti, non ha certamente esaurito la sua funzione. Deve però guardare con attenzione, forse, alla storia ed all’esperienza del movimento operaio del ‘900, la cui principale conquista, la società assistenziale o più moderatamente il welfare state, ne ha anche esaurito la spinta propulsiva, gli si è ritorto contro aprendo la strada alle rivoluzioni conservatrici della fine del secolo scorso. A causa di alcuni noti eccessi.
Non sono pochi  i rischi che si trovano lungo la strada di un’economia “green oriented”. Alcuni mortali e sarebbe veramente un peccato se qualche incidente di percorso innestasse una irrimediabile perdita di credibilità, in grado di cancellare conquiste molto recenti.
Intanto ci troviamo in una recessione economica durissima. Forse sull’orlo di un abisso, la cui
profondità ci è ancora ignota. Una condizione “ambientale” non proprio favorevole. Storicamente sono le economie ricche ed in crescita che trovano il tempo e soprattutto le risorse per mettere in cima all’agenda i problemi ambientali. Quando si tratta di stringere la cinta e pensare al pane esse tendono a passare in secondo piano. Mc Donald costa molto meno di un buon ristorante a base di prodotti biologici. Per dirla un po’ brutalmente. Di questi tempi l’ambiente non può essere un lusso, ma le tecnologie verdi devono saper dimostrare di contribuire in maniera decisiva all’aumento complessivo della produttività del sistema. Alcune di esse, oggi, si sostengono principalmente grazie all’intervento degli incentivi pubblici. Disponibili in tempi di finanza abbondante e di conti statali in grado di sostenerli. Meno, quando la competizione per gli aiuti degli Stati vede in campo settori industriali normalmente autosufficienti e che rischiano licenziamenti per decine di migliaia di persone.  Perché in questo caso viene meno una delle argomentazioni a loro sostegno, vale a dire la funzione anticiclica che essi assolvono. Semplicemente perché tutto, qualsiasi aiuto, è divenuto anticiclico. Quindi devi avere un vantaggio competitivo. Concentrarsi sui settori che realmente possono produrre innovazione in tempi relativamente brevi.
Fra l’altro uno degli effetti della crisi  economica è un’inattesa caduta dei prezzi del petrolio. E diventa ancor più difficile, in un quadro recessivo, fare a meno di energia a basso costo. In Italia il mese di gennaio ha visto cadere i consumi elettrici dell’8% rispetto al gennaio 2008. Gli statistici ci hanno ricordato che non avveniva dal 1975. Ma quell’anno era al culmine della prima crisi petrolifera, con i prezzi alle stelle. Niente a che vedere con la situazione attuale.
Le tecnologie ambientali quindi vanno osservate non con le lenti dell’affetto, ma con quelle della convenienza economica. E forse il loro paniere può essere allargato. Siamo sicuri che convenga per esempio, proprio dal punto di vista ambientale,rinunciare all’utilizzo dell’energia nucleare e, absit iniuria verbis, ai miglioramenti producibili con il ricorso agli ogm?
Secondo. L’approccio Usa sarà, almeno lo spero, diverso dall’approccio europeo, sintetizzato negli accordi post-Kyoto, la cui caratteristica principale, se devo essere sincero, è il peso straripante della regolazione, provocata dalla cosiddetta “green flying bureaucracy”.  La burocrazia verde, migliaia di funzionari, che girano il mondo preferibilmente in aereo, producendo più CO2 di quanta ne aiutino a risparmiare. Abbiamo invece bisogno di un approccio flessibile, incentivante, che coniughi fino in fondo iniziativa pubblica e privata. Non un ulteriore eccesso di regolazione, ma un sistema di convenienze, che stimoli l´iniziativa di tanti. In caso contrario attendiamoci di vedere sorgere in un tempo non lungo un sentimento di ripulsa, di cui in Italia abbiamo già visto larghi segni. Ed anche qualche cosa di più, come le pressanti richieste di Confindustria, che hanno spinto il governo italiano a contestare le decisioni europee.
Infine. Le innovazioni ambientali possono arrivare in forza di due tipi di motivazioni. Un´intima convinzione sulla loro capacità di migliorare il mondo e la vita quotidiana di molte persone; oppure l´evocazione della catastrofe possibile. Un po´ come la teoria del crollo del capitalismo o la profezia degli effetti palingenetici della crisi del ´29.
Credo poco agli effetti positivi delle previsioni catastrofiche e preferisco le convinzioni. Basate sui fatti e sulla convenienza.
Anche perché temo che il più grande nemico dell´effetto serra sarà, purtroppo, la crisi economica, che almeno a breve ci consegnerà non solo un Pil in decrescita, ma con esso anche, inevitabilmente, un po´ meno emissioni. Saranno felici i teorici della decrescita. Ma non credo che l´ambiente alla fine ci guadagni davvero.

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