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Contro le divergenze

L’America resta superpotenza, ma è ormai troppo piccola per svolgere da sola il ruolo di pilastro economico e di sicurezza dell’intero pianeta come ha fatto dal 1945 al 2005. La tendenza più probabile è quella di formazione di un sistema fatto di nazioni e blocchi regionali non più ordinati da un centro di potere forte. Come mantenere l’ordine? Due soluzioni, semplificando: (a) cercare di far convergere le nazioni entro accordi multilaterali; (b) ricostruire un luogo di governo centrale del pianeta. La prima è tendenza in atto, perseguita come obiettivo di nuova architettura dai “realisti pragmatici”. I “realisti strategici”, invece, vedono nella tendenza multilateralista i precursori della distruzione del mercato globale, di conflitti endemici e della sconfitta planetaria del capitalismo democratico a favore di quello autoritario. Il disordine. Per tale motivo tentano di disegnare un nuovo impero con influenza globale – Nova Pax – centrato sui valori occidentali nonostante la sua decrescente fattibilità. Chi scrive è tra questi. Nel disegno del progetto Nova Pax il punto centrale è la convergenza, prima, e la fusione, nel tempo, tra America ed Europa e tra dollaro ed euro come nucleo di una più ampia alleanza che includa passa dopo passo le nazioni del capitalismo democratico. E che alla fine incentivi o imponga, nell’arco di decenni se non di secoli, l’applicazione del modello democratico/occidentale alle duecento nazioni del pianeta. Tali strategia e scenario sono stati dettagliati nel libro La grande alleanza, 2007 (www.lagrandeallenza.it). Nova Pax è anche l’obiettivo del gruppo globale di ricerca e impegno politico “Croce & Luce” (Cross & Light).

Il primo passo è la convergenza tra America e Unione europea. Appare di bassa probabilità per quattro motivi.
L’Unione europea è in fase di rinazionalizzazione ed è troppo incoerente per porsi come soggetto geopolitico integrato capace di proporre o costruire alleanze esterne.
L’America tende a costruire alleanze senza concessioni limitative della propria sovranità nazionale in base al principio, fortemente condiviso nella popolazione, di specialità dell’America stessa.
Il modello economico/sociale americano offre garanzie indirette – se perdi il lavoro ne troverai subito un altro – mentre quello europeo basato sulle dirette – il tuo posto di lavoro verrà tutelato da meccanismi di protezione. La divergenza tra i due modelli è strutturale perché in quello americano l’individuo è più carico di responsabilità per provvedere a se stesso mentre in quello europeo lo è molto meno, con maggiore diritto formalizzato all’assistenza con protezioni finanziate da denaro fiscale. Tale differenza rende diverse le politiche economiche e monetarie basiche e molto difficile farle convergere. Infine, ma è un punto chiave, dalla metà degli Anni ‘90 l’America ha formato con la Cina un sistema economico binario pur non intenzionale: la Cina cresce esportando in America e ha interesse a finanziarne il debito che alimenta la crescita americana ed il volume di importazioni. Pur non alleati, anzi possibili futuri nemici in competizione strategica, America e Cina dipendono l’una dall’altra per l’economia ed il resto dell’economia globale dipende da loro. Per questo l’America tende a definire accordi privilegiati con la Cina che, pur tattici, costituiscono un G2 sostanziale, anche se non formale, che rende irrilevanti i G8, G20 ed altri. E che, in particolare, rende secondaria o comunque non attuale sul piano pragmatico l’alleanza forte tra America ed Europa.
Qualcuno potrebbe osservare che le ultime righe sono in contraddizione con le prime. Un centro del mondo c’è ed è sino-americano. Infatti i realisti pragmatici ne prendono atto e consigliano di adeguarsi. Ma i realisti strategici vedono un centro economico temporaneo costituito da due diversità incompatibili e che quindi non produce “architettura politica”. Inoltre vi vedono una fonte di disordine. Nel 1978, dopo aver analizzato i motivi della crisi dell’Impero sovietico, il leader cinese Deng Xiaoping elaborò la seguente strategia, nuova “Lunga marcia”: non è possibile competere con l’America se non si diventa più ricchi di questa, non è possibile tenere il consenso interno con l’inefficienza economica del modello socialista, quindi bisogna passare ad un modello di economia capitalista pur sotto il controllo ferreo del Partito comunista. Iniziò con la riforma agricola che tornava la proprietà della terra ai contadini, continuò con la formazione di aree speciali ove era possibile praticare il libero mercato e, dai primi Anni ‘90, si sviluppò come modello di crescita basato sulle esportazioni a basso prezzo, principalmente verso l’America. Come il Giappone negli Anni ‘60, la Cina ebbe il crescente interesse a finanziare, con pompa di capitale, il debito pubblico e privato statunitensi che trainavano la crescita a bolla di quel mercato. In questo meccanismo c’è la causa sistemica indiretta della crisi finanziaria globale 2007-2009. Dove il problema non è solo la capitalizzazione drogata, a debito, della crescita statunitense, ma, soprattutto, il fatto che Pechino non ha utilizzato i trilioni di dollari di surplus, cioè guadagnati via export, per capitalizzare la domanda interna, concentrandoli in fondi sotto controllo politico. Inoltre, ha mantenuto relativamente chiusa all’import l’economia cinese. Ciò ha prodotto uno squilibrio nei flussi di entrata ed uscita sia in America sia in Cina con conseguenze globali. Ed è un punto negativo, tecnico. Ma quello strategico è perfino più preoccupante. La Cina ha una strategia di lunghissimo termine per affermarsi come nuova potenza globale. Prima vuole diventare potenza regionale cacciando l’influenza statunitense dall’Asia. Poi perseguirà la configurazione multilaterale del sistema internazionale perché, essendo il potere economico e demografico superiore, potrà pretendere la presidenza di qualsiasi tavolo multilaterale stesso. Non ha fretta e per questo agisce come attore razionale e non apertamente aggressivo dando l’illusione ai pragmatici che sia aperta al dialogo e alla convergenza. Invece è una strategia di dominio mondiale a lungo termine che si avvale della ricchezza prodotta da un accesso senza reciprocità alla libertà economica del mercato globale. Il pericolo è che il requisito di mantenimento del potere del Partito comunista, che ha già forgiato il nuovo modello di capitalismo autoritario, venga diffuso al mondo al crescere dell’influenza cinese. Nel marzo del 2007 Pechino ha conquistato un bel pezzo di Africa con un contratto di tutela dei dittatori in cambio di materie prime e loro voto all’Onu. In ogni relazione la Cina scambia buoni rapporti, contratti industriali, con rinuncia alla pressione democratizzante. Il fatto che l’aministrazione Obama abbia dovuto accettare anche apertamente tale diktat mostra la tendenza alla futura supremazia della Cina ed indica l’indebolimento della pressione democratizzante. Da un lato la Cina è vulnerabile all’implosione per la debolezza strutturale del modello economico di capitalismo autoritario. Dall’altro la Cina esibisce un motore di consenso nazionalista ed élites selezionate per capacità e non dai media, quindi di notevole abilità. Si aggiunga che il capitalismo autoritario può essere più efficiente di quello democratico perché pone meno ostacoli alle realizzazioni. Si consideri poi che i modelli economici sono imposti dall’imperium e non emergono spontaneamente, per esempio il libero mercato internazionale è stato imposto per interesse nazionale dall’impero britannico e da quello americano dopo. Lo scenario che ne esce è di pericolo serio di fine o riduzione a poche aree del mondo del capitalismo democratico per l’effetto diffusivo portato dall’emergere prospettico della potenza globale cinese. Questo è quello che il realismo strategico (visione lunga) vede e che quello pragmatico (visione corta) sottovaluta. È inaccettabile sul piano dei valori di libertà. Ma non solo. Se, in effetti, la democrazia può essere d’ostacolo nelle fasi iniziali di sviluppo economico, è certa l’utilità della democrazia stessa per mantenere stabile e crescente l’economia. La democrazia è il veicolo per rendere di massa il capitalismo (perché il povero vota) e per dargli un ordine via consenso. Non potrà esistere un mercato globale senza convergenza tra le nazioni partecipanti verso il modello interno democratico. Cioè il modello occidentale. Ecco perché ha senso strategico perseguire il tentativo di invertire la fine del dominio politico e culturale dell’Occidente sul pianeta. E di rendere l’Occidente una soluzione più grande del problema, cioè con capacità di condizionare e convertire le potenze emergenti del capitalismo autoritario.
L’Occidente va riunito a cominciare dalla convergenza tra America ed Europa. Ma come superare gli ostacoli sopra citati? L’analisi qui fatta non è misteriosa e si basa su evidenze che tutti possono vedere e toccare se avvertiti. Basta parlarne di più per aumentare le chance del realismo strategico contro la vista corta di quello pragmatico. Con questo voglio dire che i problemi tecnici di convergenza, pur difficili, non sono insuperabili. Ma ci vuole un motore politico che, mancando, fa percepire la costruzione della Grande alleanza tra democrazie americane, europee ed asiatiche, più la semidemocrazia russa, più difficile di quanto in realtà possa essere. Per questo la missione Croce & Luce ha la priorità di riorganizzare e ricodificare l’ideologia dell’Occidente per renderla pensiero politico trainante nelle sue nazioni. Invocare una nuova voglia di impero (Pax) comporta un rischio elevato di ambiguità morale e di trattare con vecchi schemi il nuovo mondo. Ma non vedo altre soluzioni per dare ad America ed Europa uno scopo che trascenda loro stesse e le porti verso una nuova alleanza.
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