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Ecumenica/ Un bilancio nel segno della fede

Il clima mediatico che in questi mesi è andato montando attorno alla Chiesa ci ha occultato in gran parte la vita reale dell’istituzione. In una specie di “eterno ritorno del polemico” da mesi si ripetono le solite due o tre questioni dal forte impatto, mentre proprio la domanda più interessante sembra essere la grande assente del dibattito pubblico: cosa fa realmente la Chiesa?
Il prossimo 19 aprile si compirà il primo lustro del pontificato di Benedetto XVI. Ci saranno bilanci e si tireranno le somme sullo stato di salute della Chiesa. Ci sarà chi prenderà in considerazione i viaggi e le encicliche, chi ripercorrerà le varie tappe del pontificato, chi si soffermerà sui problemi della curia (presunti o reali) e chi insisterà sulle incertezze nella gestione della macchina ecclesiastica.
Ma, tra tutti questi giudizi, sarebbe un peccato se non emergesse la vera politica che Joseph Ratzinger, come pontefice, sta portando avanti in questi anni: quella di rimetter ordine nelle cose della  Chiesa, cominciando dal riassegnare alla fede il posto in primo piano che le spetta.
Senza colpi e senza sbalzi, senza scene né fuochi d’artificio, Benedetto XVI sta rimettendo in fila una dopo l’altra le verità, i contenuti della dottrina, i fondamenti del messaggio cristiano. Senza alcuna rivoluzione curiale o colpo di spugna nelle questioni organizzative, ha puntato fin dall’inizio al “bersaglio grosso”, quello più impegnativo e sostanziale: rinforzare ciò che tiene in piedi la Chiesa e le fa svolgere la sua missione da secoli.
È una linea politica alta e spirituale, magari poco visibile all’occhio mediatico (non a caso negli ultimi cinque anni è stata fonte di turbolenze e fraintendimenti), ma non per questo poco consistente. È lo sforzo di portare il Concilio Vaticano II al suo vero compimento. Ralph McInenrny, noto autore cattolico, scomparso negli ultimi tempi, nel suo “Vaticano II: che cosa è andato storto?” ha sostenuto che le diverse derive e le confusioni scaturite dal Concilio in poi non sono da attribuire all´assise in sé – che fu una grande ricerca di rinnovamento nella continuità – ma alla crisi di fede che successivamente colpì molti dentro e fuori la Chiesa.
Ecco quello a cui sta mettendo mano Ratzinger. È una realtà che le telecamere puntate sulla macchina-istituzione, con i loro cavalletti e obiettivi troppo ingombranti, a volte rischiano di ignorare. Eppure è ciò per cui Benedetto XVI sarà ricordato nei libri di storia.

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