La storia raramente si svolge in maniera piana e bilanciata. Piuttosto, tende ad essere segnata da grandi eventi – battaglie, assassinii, scoperte – le cui conseguenze si fanno sentire per anni. Ventuno anni dopo la rivoluzione che ha rovesciato lo Scià e ha portato la legge islamica in Iran, ci troviamo ad uno di quei punti di svolta. A dire la verità, non sappiamo l’ampiezza, la direzione o il ritmo di quel cambiamento. Ciò che sappiamo tuttavia è che quello che accade in Iran non avrà riflessi concreti solo su quel Paese, ma sull’intero Medio Oriente ed oltre. Un possibile Iran del futuro è una semplice estensione temporale di quello già esistente, cioè un Paese guidato da una teocrazia conservatrice e da un’aggressiva Guardia Rivoluzionaria, con la seconda che sta guadagnando gradualmente posizioni. Il regime iraniano continuerebbe a reprimere brutalmente i suoi oppositori interni, interferendo in Iraq e Afghanistan, fornendo armi e fondi ad Hezbollah ed Hamas, e, ciò che più conta, sviluppando la capacità di costruire una o più testate nucleari e i relativi vettori. Se emergesse questo scenario, il mondo sarebbe di fronte ad una scelta grave: o essere acquiescente verso un Iran già in possesso o in grado di sviluppare rapidamente un ordigno nucleare, oppure lanciare un attacco militare preventivo per distruggere gran parte del programma di armamenti. L’emergere dell’Iran come una potenza dotata di testate atomiche quasi certamente inciterebbe molti dei Paesi di rito sunnita (tra questi, penso a Turchia, Egitto e Arabia Saudita) ad imbarcarsi in un programma intensivo di acquisizione o sviluppo di una propria deterrenza. Un Medio Oriente fatto di molte potenze nucleari è la ricetta per la catastrofe. Un attacco da parte degli Stati Uniti, di Israele, o di entrambi, ai siti nucleari iraniani è un’altra opzione. Un problema che ne deriverebbe è la probabile ritorsione contro personale e interessi americani in Iraq e Afghanistan, e, tramite Hamas ed Hezbollah, contro Israele e altri ancora. L’Iran potrebbe anche interdire le rotte petrolifere, infliggendo, attraverso un’impennata dei prezzi, un ulteriore colpo alla ripresa in America e nel mondo. Inoltre, se pure ritarderebbe gli sforzi per dotarsi di armi nucleari, un attacco preventivo non impedirebbe al regime di ricostruire le sue basi, e anzi potrebbe peggiorare le condizioni in cui opera l’opposizione interna. E tuttavia, nonostante questi rischi potenziali, un attacco alle infrastrutture nucleari di Teheran è e resta un’opzione da considerare visti gli enormi costi strategici di questo scenario. È in parte per evitare questo dilemma – tra la tentazione di convivere con un Iran dotato di armi nucleari e quella di attaccarlo – che i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e la Germania hanno avviato negoziati per limitare il programma nucleare iraniano e per portarlo sotto il controllo della comunità internazionale. La Russia e la Cina, che affermano di opporsi all’emergere dell’Iran come potenza atomica, sono sollecitati a dare il loro appoggio a nuove, severe sanzioni che dovrebbero rendere più difficile quello scenario. Ma se la storia è una guida, anche sanzioni dure potrebbero non bastare a persuadere i governanti di Teheran a negoziare in modo costruttivo e ad accettare significativi vincoli alle proprie attività nucleari.
Queste considerazioni spingono verso la prospettiva alternativa: quella di portare l’Iran verso una diversa leadership politica, più moderata all’interno e sulla scena internazionale, e che rinunci all’arma nucleare, o a qualsiasi cosa che le assomigli. Oltre a migliorare la vita di 70 milioni di persone, un cambiamento politico a Teheran indebolirebbe sia Hamas che Hezbollah, e rafforzerebbe la posizione dei moderati nella West Bank e a Gaza, oltre che migliorare le prospettive di pace tra Israele e Palestina. Un Iran più moderato porterebbe inoltre la Turchia a rivedere la sua recente svolta anti-occidentale e la Siria a riconsiderare i suoi orientamenti di politica internazionale, il che creerebbe opportunità reali di un accordo di pace con Israele. Ne uscirebbero rafforzate anche le prospettive di un Iraq come Stato consolidato, in pace con se stesso e con i suoi vicini. È raro nella storia che percorsi così differenti ma tutti possibili si dipartano da un unico punto. Non è difficile tuttavia stabilire quale sia quello preferibile. Ecco perché sono da invocare nuove misure che aumentino le probabilità di un governo iraniano disposto a vivere in pace con i suoi cittadini e con i suoi vicini. Si tratta di assistere il movimento dell’onda verde affinché mantenga l’accesso ad Internet, di introdurre nuove sanzioni dirette contro la Guardia rivoluzionaria e di offrire sostegno pubblico ai diritti politici e civili del popolo iraniano. Alcuni governi e singoli protagonisti probabilmente si opporranno a queste proposte, ritenendo che tali interventi costituiscano un’indebita intromissione nella sovranità iraniana. Ma nel mondo globalizzato di oggi, ciò che accade in Iran non è solo un affare dell’Iran. Il governo di Teheran ha diritto al nucleare per generare elettricità, ma non alle armi nucleari. Ha anche dei doveri verso i suoi vicini, verso la comunità internazionale – per esempio, di non appoggiare il terrorismo – e verso i suoi cittadini. Il mondo non dovrebbe restare a guardare passivamente mentre il regime si sottrae a questi obblighi.
© Project Syndicate. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia