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Themis/ Il sonno della ragione e il sonno dell’etica

E’ il capitalismo, come Urano con i suoi figli, a divorare i capitalisti? Un importante giurista tedesco, E. W. Bockenforde, ha denunciato la deriva del capitalismo non più (solo) prodotto, ma (ormai) causa dei comportamenti opportunistici che hanno determinato la crisi mondiale in quanto funzionali alla propria logica di sistema. “Il sonno della ragione genera mostri. Scritto sotto dettatura di Morfeo è ‘Di che cosa soffre il capitalismo’, il saggio di E.W. Bockenforde incluso assieme a un contributo di G. Bazoli in ‘Chiesa e capitalismo’ (Morcelliana). Di alcuni testi si dice che sono fuori dal tempo, di questo si può meglio dire che è fuori dal mondo”. Così A. Mingardi ne ha stroncato le tesi su “Il Riformista” (14 marzo 2010). Mingardi cura una rubrica il cui titolo – “Il liberista” – spiega molto del tono e delle ragioni dell’affondo. Bockenforde svela la intrinseca debolezza della logica del capitalismo, che “si fonda su pochi presupposti, che fungono da premesse: libertà generale degli individui, e anche delle loro associazioni, per acquisiti e contratti; totale libertà nel trasferimento di merci, affari e capitali al di fuori dei confini nazionali; garanzia e libera disponibilità della proprietà personale (incluso il diritto di successione)…. Lo scopo funzionale è lo sprigionamento in tutte le direzioni di un interesse acquisitivo potenzialmente illimitato, ed anche delle potenzialità di guadagno e produzione che si sviluppano nel libero mercato e sono in concorrenza tra loro. L’impulso determinante è dato da un individualismo autoreferenziale che spinge chi è coinvolto a sempre maggiori acquisiti, innovazioni, guadagni, ed è il motore, il principio attivo; non persegue un obiettivo sostanzialmente dato, che pone una misura e dei limiti, ma un illimitato ampliamento di se stesso, di crescita e arricchimento”.  Da F.A. Von Hayek era già stato rilevato come l’ordine spontaneo prodotto da individui che agiscono self-interest, secondo le regole del diritto di proprietà e delle obbligazioni, tendesse a trasformarsi in sistema. Per evidenziarne gli intrinseci benefici, lo studioso aveva chiamato “catalassi” questo sistema,  con un termine che – spiegava – “deriva dal verbo greco Katallattein (o Katallassein), col quale si intendeva – ed è significativo – non solo ‘scambiare’ ma anche ‘ammettere nella comunità’ e ‘diventare da nemici, amici’”.  E’ la prospettiva che, oltre alla libertà economica, ha legittimato, anche culturalmente, il ruolo del mercato e della concorrenza, tanto da orientare la politica economica a livello mondiale degli ultimi decenni. Ecco perché diviene interessante la riflessione di Bockenforde, che indica le radici della crisi nella stessa logica del sistema. “Di cosa soffre quindi il capitalismo? Non soffre solo di propri eccessi, della bramosia e dell’egoismo degli uomini che agiscono in esso. Il capitalismo soffre del suo punto di partenza, della sua idea-guida in quanto razionalità strumentale e della forza costruttiva del sistema.  Pertanto la malattia non si può debellare con rimedi palliativi, ma solo attraverso il rovesciamento del suo punto di partenza. Al posto di un invadente individualismo proprietario, che assume come punto di partenza e principio strutturante l’interesse acquisito dei singoli potenzialmente illimitato, dichiarato diritto naturale non sottoposto ad alcun orientamento sostanziale, devono subentrare un ordinamento normativo e una strategia d’azione che prenda le mosse dall’idea che i beni della terra – ovvero la natura e l’ambiente, i prodotti del suolo, l’acqua e le materie prime – non spettano ai primi che se ne impossessano e li sfruttano, ma sono riservati a tutti gli uomini, per soddisfare i loro bisogni vitali e ottenere il benessere. Questa è una idea-guida fondamentalmente diversa; ha quale punto di riferimento la solidarietà degli uomini nel loro vivere insieme (e anche in concorrenza). Le norme basilari sulle quali orientare i processi d’azione economici ma anche non economici, vanno dedotte da lì”.  Ha quindi ragione Mingardi quando dice che Bockenforde è “fuori dal mondo”, perché la sua lettura denuncia alla radice il modello di sviluppo capitalistico. Ma ha poca, anzi nessuna ragione quando la liquida perché, per lo stesso motivo, sarebbe scritta sotto Morfeo. L’ambito economico, infatti, sfugge alla giurisdizione della morale perché lavorando per il bene comune ha un carattere morale proprio (G. Myrdal). Ma la crisi ha dimostrato che il meccanismo non funziona più bene, per cui è quantomeno doveroso riaprire la riflessione sui suoi presupposti etici e antropologici. 
 
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