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Themis/ Fine dei professionisti in saldo?

Tariffe sì, tariffe no. Le chiedono a gran voce gli Ordini; le boccia senza appello il presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà; “prima ancora di conoscerle” ha chiosato il ministro della Giustizia Angelino Alfano, che ha deciso di riprendere il dossier della riforma delle professioni intellettuali partendo proprio dalle tariffe. Qualche anno fa, era stato un altro ministro, Pierluigi Bersani, a tagliare il nodo di Gordio abrogando le disposizioni che stabilivano l’inderogabilità delle tariffe minime. Le famigerate Lenzuolate furono uno dei cavalli di battaglia del governo Prodi, ma portarono, per la prima volta nella loro storia, i professionisti in piazza. Era l’anno di grazia 2006, ma sembra un’altra epoca. Due sono le ragioni addotte dagli Ordini per sostenere le loro rivendicazioni. Il ripristino delle tariffe minime servirebbe anzitutto a garantire la “qualità delle prestazioni” e, quindi, a tutelare i professionisti, posto che – dicono – la loro abolizione ben lungi dallo sviluppare il mercato lo ha ridotto. La prima ragione, invero, non mi convince. Anche da professionista, non credo che la certezza di un corrispettivo minimo garantisca la qualità dell’impegno. Non vedo il nesso di necessità, né in punto di logica né in fatto. Quanto alla seconda, non ho gli strumenti per esprimere un giudizio fonditus, ma credo che la crisi economica abbia non poco contribuito alla restrizione del mercato dei servizi professionali. Il fatto che le associazioni dei consumatori non si uniscano alla rivendicazione degli Ordini mi porta alla mente quanto scriveva Milton Friedman in Capitalismo e Libertà: “Nelle argomentazione di solito addotte per promuovere, da parte degli organi competenti, la regolamentazione legislativa delle diverse professioni, la giustificazione fondamentale è sempre quella della necessità di salvaguardare l’interesse pubblico. Tuttavia, la pressione su tali organi affinché promuovano codeste regolamentazioni è raramente esercitata da cittadini che siano stati truffati o in qualche modo danneggiati dai membri delle diverse professioni. Al contrario, la pressione è sempre esercitata proprio dai membri delle categorie professionali interessate”. Sempre più maliziosamente, Friedman così concludeva: “Naturalmente, essi sanno meglio degli altri in che misura sfruttano il cliente e perciò forse possono avanzare diritti di competenza specialistica”. Ciò detto, fa bene il ministro Alfano a non escludere pregiudizialmente il ritorno delle tariffe minime. Anche se l’Antitrust continua a volerlo ignorare, a favore della legittimità delle tariffe minime si è pronunciata – almeno in via di principio – la stessa Corte di giustizia europea e proprio con riferimento alle prestazioni dell’avvocato italiano. Ma sono i risultati di uno studio predisposto da due economisti delle Università di Bologna e del Salento che impongono di affrontare la questione senza pregiudizi e suggestioni ideologiche. Lo studio riguarda le conseguenze della abolizione delle tariffe minime. In primis, il passaggio obbligato dalla dimensione individuale a quella aggregata indispensabile per fronteggiare la dinamica concorrenziale. E’ stato così rilevato che i vantaggi di costo associati al crescere della dimensione, nel favorire un aumento di quella media mediante il trasferimento di risorse dai piccoli ai grandi studi professionali determinano l´espulsione dei primi dal mercato. Nulla di cui sorprendersi in una logica di mercato, se non fosse che la presenza di un elevato numero di professionisti si traduce in un beneficio della collettività perché assicura l´offerta su tutto il territorio nazionale. A ciò si aggiunge che  – in un mercato con forti asimmetrie informative, come quello professionale – l´assenza di prezzi minimi favorisce una gara al ribasso, che se da un canto sembra avvantaggiare i consumatori, dall’altro favorisce l’uscita dal mercato dei professionisti più qualificati, i quali ritengono non più remunerativa l´offerta di determinati servizi. Con l’inevitabile conseguenza dello scadimento della “qualità dell´offerta”. Se è vero che la selezione dell´accesso assicura il possesso dei requisiti minimi di professionalità per il singolo, è però altrettanto vero che il mercato professionale è fortemente dinamico e richiede un continuo investimento, di tempo e denaro, nella formazione. Il che comporta significative differenziazioni tra prestatore e prestatore e la presenza di corrispettivi minimi adeguati sembra garantire la permanenza sul mercato dei professionisti più qualificati e quindi l´effettiva possibilità di scelta del cliente.
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