Scrivere di agricoltura nell’UE, ovvero della politica agricola comune (PAC) può sortire reazioni opposte. Gli appassionati non possono che ricordare il ruolo che l’agricoltura ha avuto dal punto di vista storico (la prima politica veramente comune), politico (una “carta” pesante per le negoziazioni e i compromessi finali) ed economico (la politica più pesante nel bilancio comunitario). I meno perversi, ovvero chi si interessa fisiologicamente di politica economica, si interrogano invece sull’importanza da attribuire all’agricoltura considerando che vale l’1,8% del PIL e il 5,7% dell’occupazione dei 27 paesi, quando i mercati sono sostanzialmente globalizzati e quando i temi più caldi si chiamano: crisi, competitività, capitale umano, energia, ambiente, sicurezza.
Già, ma sicurezza è anche alimentazione intesa nei più espliciti anglosassoni security e safety. La disponibilità di cibo è stato un obiettivo agli esordi del processo comunitario nato sulle ceneri della seconda guerra mondiale. Il tema ritorna attuale se si considerano i tassi di crescita della popolazione mondiale (dovremmo essere 7,4 miliardi nel 2020), l’aumento di consumi più “avanzati” (per es. carne) nei paesi in forte crescita, l’infiammata dei prezzi (in particolare dei cereali) del 2008 che ha acceso rivolte in Bangladesh, Senegal, Egitto e Haiti. La terra per sfamare i cittadini è già nell’agenda dei governi della Corea del Sud, Arabia Saudita, Kuwait e Malaysia e gli spazi africani sono oggetto di quelle politiche che vengono mediaticamente etichettate sotto “neocolonialismo”.
I saldi commerciali dell’UE mostrano un saldo complessivo positivo che nasconde un forte deficit sulle materie prime (per es. frutta tropicale, cotone, tabacco) ma la quantità impensierisce quanto la qualità. Sebbene nella memoria collettiva albergano mucche pazze, ovini dalla lingua blu e polli alla diossina, l’UE è fortemente impegnata nella tutela della qualità dei prodotti alimentari con misure volte a migliorare la sicurezza e l´igiene dei cibi, regole in fatto di etichettatura, norme sulla salute delle piante e il benessere degli animali, sul controllo dei residui di pesticidi e di additivi nei prodotti alimentari, nonché sul controllo di organismi geneticamente modificati (i famigerati OGM).
Un’attenzione che ci porta a dichiarare che la nostra agricoltura non è soltanto produzione e alimentazione. Agricoltura significa ambiente, cultura, rispetto di alcune condizioni che vanno oltre i dispositivi normativi. Aspetti che chi vive in città apprezza senza per questo “pagarli” in quanto non esiste un mercato per il bel panorama, per l’aria pulita o il silenzio della campagna. Si tratta di “esternalità positive” che paghiamo indirettamente tramite la PAC e la corrispondente voce di bilancio. Il reddito derivante dalla pura vendita dei prodotti della terra, se non integrato dalla PAC, sarebbe così poco competitivo da incentivare l’abbandono delle terre e la conseguente congestione dei centri urbani con tutto quello che ne conseguirebbe.
Le varie implicazioni dell’attività agricola europea fanno sì che questa venga definita “multifunzionale” e che quindi i prodotti agricoli devono essere liberamente commerciati nei mercati mondiali (in virtù delle norme del WTO), seppur differenziati in funzione della loro qualità, ma agli agricoltori/allevatori deve essere riconosciuto il valore che va oltre la semplice produzione (per esempio riconoscendo un sussidio per il rispetto di requisiti ambientali o per coltivazioni biologiche). Addirittura viene riconosciuto il valore anche di chi abbandona la produzione (non tutti possono essere efficienti in mercati competitivi) ma sceglie di rimanere in campagna ed apre un agriturismo o un museo di cultura contadina; su questo fronte l’UE ha attivato infatti una specifica politica di “sviluppo rurale”, che rappresenta circa un quarto della PAC ed è cofinanziata da ciascuno degli Stati membri.
E adesso la parte dolorosa. La PAC, infatti, è costosa. Nel 1985 rappresentava il 74% del budget dell’UE e oggi poco più del 45% ovvero quasi 58 miliardi di euro. Ma se ci fermassimo qua, racconteremmo mezza verità. Innanzitutto l’agricoltura è l’unico settore completamente finanziato dall’UE, ovvero, diversamente dalle altre politiche (per esempio quella di coesione per aiutare le regioni in ritardo di sviluppo) non esistono politiche nazionali. In secondo luogo, i paesi membri sono riusciti a contenere efficacemente la spesa complessiva nonostante i recenti allargamenti dell’Unione. In terzo luogo, il budget dell’UE è un esiguo 1,2% del PIL dei 27 paesi. Con una semplice operazione algebrica possiamo dire che la PAC costa lo 0,54% del PIL dell’UE. Tale valore è coerente con il suo peso in termini di ricchezza prodotta e occupazione garantita, soprattutto se consideriamo gli obiettivi – quelli della “multifunzionalità” – indicati dal Trattato; gli stessi da più di 50 anni.