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Oeconomicus/ La ripresa asimmetrica

La ripresa dell’attività politica in autunno è come sempre momento di riflessione, di bilanci e di prospettive. Prima delle vacanze, il G20 si è impegnato al dimezzamento dei disavanzi di bilancio entro il 2013. Gli interventi sui mercati (specialmente per il salvataggio d’istituti finanziari colpiti dalla crisi iniziata nel 2007) hanno provocato un vero e proprio Himalaya e l’indebitamento delle pubbliche amministrazioni e dello stock di debito. Come sottolineato in questa rubrica, alcuni mesi fa, ci sono due strade divergenti per uscire da questa situazione: un aumento dell’inflazione o una deflazione. Ambedue hanno costi: la prima penalizza i ceti più deboli, la seconda minaccia di scivolare in una nuova recessione. In seguito al timore che i titoli pubblici di alcuni Paesi (Grecia, Portogallo, Spagna) non riuscissero a sostenere le pressioni dei mercati (e che la stessa unione monetaria andasse a gambe all’aria), i Paesi dell’Eurozona (e la Gran Bretagna) hanno deciso di adottare misure suppletive di bilancio al fine di ridurre indebitamento e debito.
 
Le previsioni dei 20 istituti econometrici internazionali privati, che costituiscono il “gruppo del consensus”, riflettono questo andamento: crescita sostenuta negli Usa (il 3,3% nel 2010 ed il 3% nel 2011) e in Paesi emergenti come India e Cina (rispettivamente 7,8% e 8% la prima e 9,9% e 8,2% la seconda), ma piatta nell’area dell’euro (1,1% e 1,3% nei due anni presi in considerazione). In breve una ripresa (dalla crisi asimmetrica). Delicatissima la situazione dell’Italia, anche a ragione dei nodi strutturali e del dualismo tra centro-nord e Mezzogiorno. Le stime dello stesso ministero dell’Economia, nonché dei maggiori istituti d’analisi quantitativa, prevedono una contrazione dell’occupazione (e, quindi, un aumento di coloro che cercano lavoro senza trovarlo) sino al 2014 e, quindi, una riduzione di salari medi e di consumi. Due determinanti frenano l’Ue: la struttura demografica (e le implicazioni dell’invecchiamento sulla produttività) e gli statuti che limitano al 2% l’anno il tasso d’aumento dei prezzi al consumo ammissibili prima d’interventi diretti a restringere l’offerta monetaria. Inoltre, un lavoro del Gruppo Bruegel (uno dei più stimati osservatori dell’economia europea) documenta che sino a quando l’economia e la finanza internazionali saranno dominate dal profondo rosso dei conti con l’estero Usa (420 miliardi di dollari negli ultimi 12 mesi), in gran parte saldati con acquisto di titoli americani da parte della Cina (un saldo attivo di 282 miliardi di dollari nello stesso arco di tempo), l’Europa appare condannata ad essere il vaso di coccio a crescita bassa. Lo è, però, ancora di più se si presenta (come ha fatto al G20 di Toronto) con posizioni solo formalmente unitarie, ma disunita (anzi, ai ferri corti tra Stati dell’Eurozona) su questioni cruciali (quali la riorganizzazione del Fondo monetario internazionale).
 
Ciò vuole dire che i mercati saranno caratterizzati da una notevole volatilità in quanto Usa e Ue marceranno a ritmi differenti. In aggiunta, è in atto una vera e propria corsa all’acquisto di materie prime nell’aspettativa (che potrebbe essere delusa) di una nuova ripresa dell’economia mondiale (lo afferma anche un recente rapporto Ocse).
In che misura l’annuncio di una maggiore flessibilità del cambio dello yaun potrà contribuire alla crescita? Mark Shiao avverte che non dobbiamo nutrire eccessive illusioni: il sistema di controllo dei cambi è molto complesso, in rapida evoluzione e di difficile comprensione ad europei ed americani. In breve, un cambio più flessibile, oppure anche una svalutazione, possono essere agevolmente neutralizzati ritoccando le regolazioni interne. Lo sostengono, nel saggio in The World Economy, Ronald Mckinnon dell’Università di Stanford e Gunther Schanabl di quella di Lipsia. Più significativamente, la ripresa mondiale richiede che l’Impero di Mezzo cresca all’8% l’anno ed una rivalutazione significativa provocherebbe un rallentamento della crescita cinese e, con esso, di quella mondiale.
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