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Schermaglie di luglio

La cifra tonda del 2010 sembra favorire la riflessione sugli anniversari che in qualche modo scandiscono l’evoluzione dell’arte e dell’estetica. Nel maggio del 1980 usciva negli Stati Uniti quello che è considerato non solo uno dei capolavori di Stanley Kubrick, ma anche, tout-court una pietra miliare del cinema contemporaneo: The Shining.
Le vicende del custode e aspirante scrittore, Jack Torrance, che rimane un lungo inverno rinchiuso nell’oppressivo Overlook Hotel, fino ad impazzire e a cercare di uccidere la moglie e il figlioletto, sono state imitate e parodiate decine di volte, facendo diventare il film il modello per l’horror psicologico contemporaneo.
Ma ovviamente Shining è molto di più di un horror: è una riflessione multipla sull’arte, sulla società e sul rapporto fra bene e male. Se ne accorse bene Stephen King, dal cui romanzo Kubrick trasse la pellicola, e che lo accusò di aver snaturato le caratteristiche originali dell’opera, quasi ignorasse che ogni artista, e certamente era il caso del regista americano, invece di essere un mero esecutore si porta dietro la sua poetica personale.
 
Il blocco psicologico che affligge il sedicente scrittore fino a farlo sprofondare nella follia, che per King è un riferimento autobiografico, diventa così la metafora dell’impasse dell’artista di fronte alla realtà, non lontano dal significato che Fellini aveva attribuito a quello che colpiva il suo Guido Anselmi in 8&1/2. Ma la fiducia nella visione degli anni Sessanta è ormai lontana e l’uscita dalla crisi non solo non avviene in termini giocosi, ma sembra addirittura impossibile.
Al contrario di ciò che succede nel libro, i personaggi del film sono impotenti di fronte a un orrore incomprensibile, che non si svela mai né come metafisico né come sociale: i Torrance sono perseguitati da fantasmi del passato, da una maledizione indiana o solo dai loro incubi personali? Questo lo spettatore non arriverà mai a saperlo. Di volta in volta i critici hanno trovato nelle riflessioni di Kubrick accenni al dramma dell’Olocausto, alla violenta colonizzazione del West, alla società occidentale che schiaccia gli individui.
L’occhio indagatore del regista, fluttuante e disincarnato grazie al meccanismo innovativo della steadycam, si aggira per i corridoi dell’albergo senza spiegare veramente nulla, rinunciando a dare un ordine logico agli spazi dispersivi dell’Overlook. Non solo lo spazio, ma persino il tempo viene disarticolato nelle scene finali che vedono il protagonista ormai folle congelarsi in un labirinto e riapparire subito dopo in una foto del 1921.
L’intera macchina del cinema è solo un meccanismo di “congelamento”, un inganno fantasmatico dal quale non si può mai uscire: come gli spiegano i suoi fantasmi, Jack Torrance è sempre stato il custode dell’Overlook Hotel. Il fallimento della razionalità della visione viene certificato una volta per tutte da Kubrick, che non a caso diventa il regista di riferimento per tutti gli autori che si muovono sulla stessa linea esordendo fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, primi fra tutti Lynch e i fratelli Coen.
 
Indice delle cose notevoli: Il film nell’edizione italiana: Shining di Stanley Kubrick, DVD strato singolo, Warner Home Video 2007 * Un agile saggio che analizza le complicate simbologie del film: Giorgio Cremonini, Stanley Kubrick. Shining, Torino, Lindau, 1999 * Un sito italiano, ricco di contenuti, completamente dedicato al regista di Shining: http://www.archiviokubrick.it/ * Il romanzo da cui è stato tratto il film cult: Stephen King, Shining, Milano, Bompiani, 2001 * Il regista si racconta in una serie di interviste: Stanley Kubrick, Non ho risposte semplici, Roma, Minimum Fax, 2007 * Il trailer del film su Youtube: http://www.youtube.com/watch?v=sfout_rgPSA * Nonostante la colonna sonora non venga più pubblicata per problemi legali, molte musiche del film sono esecuzioni del compositore polacco Penderecki di cui Kubrick era un ammiratore: Kryszstof Penderecki, Un requiem polacco – Il sogno di Giacobbe, CD, Chandos, 2004
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