NORBERTO BOBBIO, Elogio della mitezza, Il Saggiatore, 2010, pp. 211, euro 10
“Non si può coltivare la filosofia politica senza cercare di capire quello che c’è al di là della politica, senza addentrarsi, appunto, nella sfera del non-politico”. La definizione di questa mappa delle virtù, dei tracciati complessi che innervano il rapporto tra politica ed etica, è affidata a quello spirito di “ascesi laica” (Weber) che Bobbio coltivava in massimo grado, ponendolo di fronte, come recita l’articolo in appendice, al dovere di “salvarsi da soli”. Per questo la sua ricerca di un confine comune tra politico e non-politico, sulla scorta di Kant, è tanto più importante perché rivelatore della sua passione per la democrazia liberale, l’unico ordinamento che, attraverso il governo della legge, dischiude i passaggi tra i due campi. L’unico in cui la mitezza – antitesi alla soperchieria e all’abuso di potere – trovi conforto e speranza.
GIACOMO PACINI, Il cuore occulto del potere, Nutrimenti, 2010, pp. 234, euro 14
Quella che si configura qui con dovizia di fonti (abbondanti a piè di pagina, anche se purtroppo si deve lamentare l’assenza di un indice dei nomi alla fine del volume) è una pervasiva analisi del sistema dell’Uar – Ufficio affari riservati – del Viminale, dai cui archivi sono tratti numerosi documenti. Analisi tanto più interessanti perché pur abbondando le ricostruzioni storiche dell’attività degli altri apparati di sicurezza politico-militare, ancora mancava una trattazione così sistematica di un ganglio vitale della sicurezza dello Stato. Oltre all’inquadramento problematico della figura di Federico Umberto D’Amato, deus ex machina dell’Uar negli anni ‘60-‘70, viene evidenziata la continuità e la resilienza organizzativa di una frazione burocratica che ha attraversato il ventennio e tutta la Prima repubblica, vero concentrato di “potere reale”.
MASSIMILIANO PANARARI, L’egemonia sottoculturale, Einaudi, 2010, pp.145, euro 16,50
Il libro, e questo è un primo merito, evita i toni apocalittici e tetri tipici di molti saggi sul “mondo dopo Berlusconi”. Prevale l’analisi briosa, le definizioni e i ritratti taglienti del nuovo Pantheon della comunicazione televisiva. Il punto di svolta egemonico è individuato negli anni Ottanta, l’età di un umorismo “molto accondiscendente nei confronti del potere, per il momento economico e politico, che si presenta dichiaratamente come apolitico”. Osservazione assai interessante e che meriterebbe ampliamenti di indagine: si tratta di un cambiamento di segno “reazionario-neoliberista-americano” addebitabile a debolezze del ceto intellettuale, oppure di una più generale tendenza dei mass-media nell’era della concentrazione finanziaria e del loro utilizzo come strumenti di lotta politica?
HANS KELSEN, La democrazia, Il Mulino, 2010, pp. 391, euro 15
Un’appassionata difesa della “meccanica” democratico-parlamentare contro le tentazioni organiche e organiciste del suo tempo, segnato dall’emergere del totalitarismo. Questo è Hans Kelsen nei tre saggi che lo ripropongono al lettore come teorico capace di penetranti, e sempre attuali, analisi politico-giuridiche su Parlamento e democrazia. A partire da Essenza e valore della democrazia del 1920, ove si denuncia il carattere fondamentalmente antidemocratico della propaganda per uno Stato senza partiti e delle rappresentanze funzionali-professionali neocorporative. La difesa della democrazia parlamentare, anche contro le teorie ventilate da alcune correnti americane nel secondo dopoguerra, fautrici della supremazia dei corpi tecnico-giuridici, è la difesa della procedura che garantisce maggiormente il principio di libertà.
GANFRANCO MORRA, Antidizionario dell’Occidente, Edizioni Ares, 2010, pp. 448, euro 18
Si legge tutto d’un fiato questo dizionario di ottantasette voci che spaziano nell’universo sociale e politico occidentale tardo-moderno. Infatti lo stile non è gravemente pensoso, né la polemica acrimoniosa – se mai prevale la consapevolezza, leggera e sicura al tempo stesso, di radici cristiane, occidentali ed europee rispetto a cui Morra misura le oscillazioni “psicopatologiche” della società. Colpisce d’altronde l’interpretazione dei movimenti di liberazione sessantottini come rito di passaggio antropologico (mascherato da terminologia politica “di sinistra”) da un individualismo consapevole dei valori oggettivi, al narcisismo nichilistico e privatistico, che anestetizza le differenze e non riconosce altro valore che ciò che è utile e piacevole per se stesso.