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Themis/ Ordini: la riforma “s’ha da fare”

L’Italia ha bisogno dei professionisti (e degli Ordini)? Nell’ultimo decennio, sono falliti tutti i tentativi di rivedere le norme sulle professioni. All’origine c’è l’incapacità di prendere una decisione di sistema sul ruolo dei professionisti. La Commissione europea e l’Antitrust premono per una liberalizzazione del settore secondo il paradigma dell’impresa. Donde la tenace resistenza delle categorie professionali, che – per reazione – si arroccano nella difesa di uno status quo che va stretto agli stessi iscritti. Compressi in questa tenaglia, i politici continuano ad annunciare riforme, ma senza prendere una posizione circa i nodi che le hanno sempre impedite. Tutti concordano sul fatto che quello del professionista sia un modello da preservare. Ma è evidente che una cosa è considerarlo alternativo all’impresa, un’altra una sua appendice. Sta certo, però, che le prestazioni che incidono su interessi generali, secondo la Costituzione, devono essere riservate a coloro che possiedono adeguate capacità e conoscenze. Lo stabilisce l’art. 33 a tutela della collettività: il professionista è l’altra faccia di questa necessità, come è stato riconosciuto anche dalla Corte di giustizia europea, per la quale il modello professionale offre maggiori garanzie rispetto dell’impresa (sentenza 19 maggio 2009, c – 171-172/07). Non c’è, quindi, nessuna incompatibilità tra un ordinamento professionale che prevede un sistema di controlli a presidio del corretto esercizio delle attività che incidono su interessi collettivi e libera concorrenza. Le norme comunitarie riconoscono l’autonomia del modello professionale, per cui nullaosta alla definizione di uno statuto normativo, ovviamente nel rispetto dei principi del Trattato Ue che richiedono che la concorrenza sia limitata solo per ragioni di ordine pubblico.
 
Nullaosta, ma occorre che ci sia una decisione di sistema. Per realizzare una riforma in linea con l’Europa, serve una indubbia dose di coraggio politico e qualche lavoro di cesello.
Il primo punto (e non l’ultimo) della riforma deve essere l’aggiornamento delle competenze. Tema scottante e politicamente destabilizzante. Le categorie devono rinunciare alle riserve non più giustificate da esigenze di tutela della collettività; ma il legislatore deve sapersi opporre alle pretese del mercato e vincolare le (nuove) attività che sono in grado di pregiudicare gli interessi generali. Il secondo è la revisione delle attuali professioni, altro tema scottante e mai affrontato. La (sofferta) fusione tra ragionieri e commercialisti è il precedente a cui guardare. Se non si riesce ad imporre gli accorpamenti, servono incentivi che li promuovano. Il terzo sono le funzioni degli Ordini. La loro riforma è essenziale per rilanciare il ruolo del professionista. perché quella professionale è una pratica che comporta modelli di eccellenza, l’obbedienza a regole e il conseguimento di valori che richiedono un efficiente sistema di controlli e rappresentanza (A. Mc Yntire). Oggi si barcamenano tra i compiti istituzionali (deontologia e vigilanza) e quelli acquisiti sul campo (formazione e rappresentanza). Sono nello stesso tempo: legislatore, magistratura, università e sindacato. Troppo e troppo poco (basta leggere i giornali). I compiti dovrebbero essere depurati secondo la missione tipica degli Ordini: l’etica istituzionale («L’etica istituzionale si occupa della legittimità morale delle politiche e delle istituzioni che limitano la possibilità di operare, ancorandola ad una prospettiva che benefici la gente e si sottometta al valore superiore di una disciplina: essa è animata dalla preoccupazione morale per il fine ultimo della disciplina», scrive E. Friedson). Nella esperienza nord-americana, gli Ordini sono uno strumento prioritario di promozione (ed esportazione) della rule of law e dei valori dell’ordinamento (M. Bussani). Nel nostro sistema, visto il loro radicamento sul territorio, essi possono anche essere un prezioso veicolo per dare effettiva attuazione, supportando le amministrazioni, al principio di sussidiarietà di cui sono una tipica espressione (E. Gianfrancesco).
Ora che anche la stampa non specialistica ha scoperto il mondo professionale, il conto alla rovescia è iniziato. Oltre al Parlamento, anche il ministro Alfano sta per varare la sua riforma. Speriamo che non si ripeta quanto accadde nell’ultimo governo Berlusconi. L’allora sottosegretario, Michele Vietti, riuscì a costruire un consenso diffuso intorno ad un testo che, però, non fu recepito dal Parlamento che non accettò di sostituirlo al progetto a cui intanto aveva lavorato.


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