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Cattolici, un perimetro incerto

Per convenzione scriveremo “dottrina Bertone” e “spazio Bagnasco”. Rispettivamente, dai nomi del segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, e del presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco, cardinale di Genova. Proveremo cioè a descrivere il perimetro – senza aggettivi – entro il quale sono chiamati ad agire i credenti italiani a cui sta a cuore il bene comune. E con esso, il futuro del cattolicesimo politico. Agli occhi del segretario di Stato non c’è altra possibilità di sopravvivenza tra Chiesa cattolica e Stato italiano, se non dentro i limiti circoscritti e sottoscritti del Concordato.
Dunque, una linea concordataria che, nell’interpretazione di Bertone, assume persino un carattere di moderno “legittimismo”, inteso come una prassi di non interferenza che si spinge sino all’indulgenza nei confronti dei governi e delle maggioranze parlamentari del momento. In questa prospettiva va letta anche la rivendicazione alla segreteria di Stato vaticana, fatta con un testo scritto all’atto della nomina di Bagnasco a presidente della Cei, della gestione dei rapporti tra Chiesa italiana e politica.
 
Dentro questa cornice di benevolenza va inquadrata tutta la dialettica dei rapporti tra Chiesa italiana, governo e maggioranza parlamentare. Di qui la comprensione dell’apertura di credito verso “la politica del fare”, se indirizzata al bene comune. E, se vogliamo, anche una certa spersonalizzazione delle responsabilità. Non è un caso che mai, a precisa domanda, venga emesso un giudizio su questa o quella scelta politica concreta, su questo o quel provvedimento, su questa o quella disposizione legislativa. Che, nell’ottica dei vertici della Cei, apparirebbe come una forma di interferenza, di sicuro non gradita alla segreteria di Stato. Tale, comunque, da infrangere quello stile amicale che è proprio del cardinale Bertone, e al quale si intende informare tutti i rapporti politici. In questo quadro si intuisce il giudizio negativo della segreteria di Stato vaticana nei confronti del Family Day (2007), vissuto come una lacerazione di quel tessuto amicale. E il destino delle opposizioni? Devono attendere il proprio turno e farsi maggioranza. E quel giorno, salvo correzioni di “dottrina”, dovrebbe essere applicato lo stesso tipo di “lodo”.
Di qui una serie di conseguenze per il laicato cattolico. Qualcuno può infatti immaginare (o addirittura auspicare) che il cattolicesimo italiano organizzato (associazioni, movimenti e altre forme di aggregazione) debba e possa ispirarsi e allinearsi nei propri rapporti con il governo, con la composita maggioranza e con le diverse opposizioni, a quello stesso stile concordatario di matrice “legittimista”. Possa e debba sottrarsi al giudizio di merito su tutti gli aspetti della vita pubblica, nessuno escluso. Una prospettiva inattuale che contraddice il principio sacrosanto dell’autonomia dei laici, caposaldo del Concilio Vaticano II e bene da preservare, a tutela della libertà della Chiesa come comunità. Altrimenti finirebbe per avere ragione chi esercita una critica radicale nei confronti della “dottrina Bertone”, come lo storico del cristianesimo Massimo Faggioli. In un suo saggio recentemente apparso sul Mulino, così si esprime: «…agli occhi della segreteria di Stato vaticana il compito del cattolicesimo politico italiano è essenzialmente quello di scomparire…». Davvero un pessimo presagio per chi, come noi, ritiene che tanto il cattolicesimo liberale quanto quello democratico, abbiano ancora tanta tela da tessere nella vita culturale e sociale del Paese. Sempre però in ascolto di quel cattolicesimo di popolo, che è un tratto caratteristico dell’identità italiana.
 
Ancora nel corso della sua ultima prolusione al Consiglio permanente della Cei (il parlamentino dei vescovi), il cardinale Angelo Bagnasco ha voluto evocare l’orizzonte del bene comune come “la bandiera che nel cuore si serve, la divisa che consente di identificare là dove sono i cattolici, ma non solo loro”. Ma poi ha voluto ribadire i “valori primi e costitutivi della civiltà: vita, famiglia, libertà religiosa e libertà educativa”. Beni – ha precisato il presule – che sono il fondamento che garantisce ogni altro necessario valore, declinato sul versante della giustizia e della solidarietà sociale. In sostanza quei “valori non negoziabili” già presenti nel documento della Congregazione per la dottrina della fede del novembre 2002 su cattolici e politica, firmato dall’allora cardinale Joseph Ratzinger e dall’allora monsignore Tarcisio Bertone. Quella nota dottrinale è stata il leit motiv di questi ultimi difficili anni per il cattolicesimo politico italiano. Anni nei quali i cattolici, dopo la scomparsa della Democrazia cristiana, hanno accettato la sfida del bipolarismo nascente, disseminando la propria presenza nelle diverse forze politiche. Ma i “valori non negoziabili” hanno fatto la differenza. Da un lato dello schieramento sono stati fatti propri sino al punto che la maggioranza parlamentare parla apertamente dell’acquisizione nel programma di governo di un’agenda della bioetica, sulla falsariga dell’antropologia cristiana. Dall’altro, ai cattolici presenti nelle file delle opposizioni non resta che fare da contrafforte a questa proposta, anche a prezzo di portare scompiglio nei propri partiti. Un’asimmetria evidente: il prezzo politico e di consenso elettorale è tutto e solo sulle spalle dei cattolici ancora presenti nelle forze di opposizione. Un’asimmetria divenuta ancora più dolorosa per un fatto nuovo: la richiesta formulata dallo stesso Benedetto XVI a Cagliari nel 2008, di una nuova generazione di politici cattolici. Sulla sua scia, il presidente della Cei ha evocato «un sogno: possa sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo, che credono fermamente nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti».
 
Ora, dove si annida il grande rischio? Dove può insorgere il corto circuito? Risponderemo con un’altra domanda: come è possibile far sorgere una “generazione nuova”, se questi uomini e queste donne si devono muovere all’interno di un perimetro vincolante come quello dei “valori non negoziabili”? Oggettivamente difficile, teoricamente non impossibile, comunque da sperimentare. Al tempo stesso va rilevato che la strategia dei “valori non negoziabili” è forse più spendibile in un orizzonte bipolare, nel quale i cattolici sono disseminati. Ma in grado di condizionare, soprattutto nei passaggi fondamentali della vita parlamentare, le decisioni più importanti che incrociano i “valori non negoziabili”. Salvo non augurarsi, ma qui entriamo in un terreno ecclesialmente minato e politicamente inesplorato, che i cattolici (cittadini ed elettori) si ritrovino tutti da una stessa parte del campo politico. Situazione già presente ad altre latitudini politiche, ma non ancora sperimentata all’interno del nostro incerto e imberbe sistema bipolare. In conclusione, non vorremmo che il “sogno” del cardinale Bagnasco finisse per naufragare, non perché privo di una sua intrinseca forza dettata dalla necessità politica e sociale, ma a causa di una sua impraticabilità dovuta ai modelli istituzionale ed elettorale vigenti. Nel frattempo, per i cattolici che amano la politica e la vivono come più alta forma di carità, resta l’interrogativo sul che fare. Un interrogativo reso ancor più inquietante dai silenzi del laicato cattolico organizzato che, alla prospettiva del “sogno”, non ha ancora dato una risposta pubblica, al di là dell’adesione convinta alla piattaforma dei “valori primi”. Del resto, è davvero dura muoversi coerentemente nel perimetro disegnato dalla “dottrina Bertone” e dallo “spazio Bagnasco” senza avere la sensazione di fare passi falsi. C’è comunque, un intero mondo, soprattutto sociale, in surplace, che attende un segnale per ricominciare a costruire luoghi in cui “produrre politica”, come auspica il rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, in un Paese nel quale, invece, “si distribuisce, si scambia e si consuma politica”.


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