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Ue/ Europa 2020, il nuovo mantra sostenibile

Dopo la pausa estiva, settembre è il mese per la riflessione e per riavviare i lavori ad autunno. Anche il mondo politico dell’Ue cerca un momento per affrontare lontano dalla quotidianità istituzionale i principali temi di politica economica e non solo. In particolare il gruppo del Partito popolare europeo (Ppe), quello più numeroso al Parlamento europeo (con 265 eurodeputati su 736), da nove anni organizza una Summer University grazie alla sua rete di fondazioni e think tank denominata European ideas network (Ein). Ein nasce nel 2002 con la Summer University tenutasi presso l’Università di Oxford (in quella data i conservatori britannici erano nella famiglia del Ppe) e poi a El Escorial, Berlino, Lisbona, Lione, Varsavia, Fiuggi (nel 2008), Vienna e infine Budapest dal 16 al 18 settembre. L’edizione di quest’anno non poteva che essere dedicata principalmente alle ricette di politica economica per uscire dalla crisi, riportando l’Ue sulla strada della crescita e giocando un ruolo internazionale per combattere la povertà. Sebbene l’evento sia stato organizzato dal gruppo del Ppe, il dibattito è stato aperto ad esperti senza alcuna affiliazione partitica ed ha visto la partecipazione di esponenti politici di primo piano tra cui il presidente della Repubblica ungherese Pal Schmitt, il presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek, il primo ministro belga Yves Leterme e ungherese Viktor Orban, il presidente del gruppo del Ppe al Parlamento europeo Joseph Daul e il presidente del Ppe Wilfried Martens. Nella tavola rotonda “Europe 2020 from a centre-right perspective: priorities for a stronger growth in Europe” si è parlato degli strumenti per la crescita ed ha partecipato, tra gli altri, anche l’autore di questa rubrica. Nel corso della tavola rotonda è emerso che Europa 2020, erede della Strategia di Lisbona scaduta naturalmente nel marzo 2010, è il nuovo mantra che questa volta aggiunge alla competitività intesa come crescita e occupazione gli attributi: sostenibile, intelligente e inclusiva. In questo processo, non bisogna tuttavia trascurare il mercato unico.
 
Nonostante l’unificazione dei mercati domestici nazionali fosse una priorità fin dal 1957, l’eurosclerosi degli anni Settanta lasciava il processo a metà strada. Fu grazie all’accelerazione impressa nel 1985 da Jacques Delors che i Paesi membri realizzarono quanto proposto dalla Commissione entro la scadenza fissata, il 1992. Da allora ad oggi, pochi progressi segnati dal Piano di azione per i servizi finanziari ma anche una liberalizzazione dei servizi fortemente depotenziata rispetto alla proposta del Commissario Bolkestein (vi ricordate dell’idraulico polacco che rischiava di mandare sul lastrico i colleghi francesi?). Nella relazione si spiega che i servizi rappresentano il 70% del Pil e sono la prima fonte di investimenti esteri diretti nonché gli unici a vantare una creazione netta di posti di lavoro nell’Ue. La frammentazione nazionale dei mercati dei servizi (solo il 20% dei servizi forniti nei 27 Paesi ha una dimensione transfrontaliera) è una delle principali responsabili del divario di produttività tra gli Stati Uniti e la zona euro. Lo spostamento dell’attenzione è stato poi ulteriormente amplificato dalla necessità di concentrare le energie politiche su altri processi cruciali della costruzione europea: l’unione monetaria, l’allargamento e la conseguente riforma delle istituzioni per renderne più efficiente il processo decisionale. Per questo motivo, dopo la Strategia e il Trattato consacrati nella capitale lusitana, nel suo secondo mandato, il presidente Barroso ha individuato nel mercato unico un obiettivo strategico dell’Ue chiedendo, nell’ottobre 2009, a Mario Monti consigli sugli strumenti da adottare per proseguire nella creazione del mercato unico.
Dopo un semestre di lavoro, l’ex commissario pubblica la sua relazione nella quale ricorda i noti benefici del mercato unico: migliore allocazione di risorse e quindi crescita economica, ma anche maggiore mobilità e opportunità per gli individui. Ma concetti quali mercato e concorrenza sembrano attraversare una fase critica: sono additati da più fronti come responsabili dell’attuale crisi nonché come aggressori di localismi e valori tradizionali. La crisi ha riacceso nazionalismi economici e nuove forme di protezionismo, funzionali a campagne elettorali di impronta populistiche ma contrarie alle regole sulle quali si è costruita l’Ue e sulle quali si costruisce la crescita di lungo periodo. Il mercato unico non è un obiettivo (forse per questo è meno appealing di altre attività dell’Ue) ma uno strumento e i migliori alleati nella sua implementazione sono i cittadini nelle diverse attività che essi svolgono.
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