Fin da quando esiste il cinema, per la sua tendenza a codificare l’immaginario, una storia di criminalità assume subito un rilievo archetipico. Sono recenti le polemiche contro l’eccessivo successo di Romanzo criminale, che mitizzerebbe la Banda della Magliana, ma il nuovo obiettivo dei media è addirittura Gomorra, che, a differenza della serie tv, si presenta palesemente come opera di denuncia. Sui giornali italiani è comparsa la notizia di una baby gang milanese i cui membri, dopo ogni colpo, si riprendevano con i cellulari in pose e atteggiamenti ispirati evidentemente al film di Garrone. Paradossalmente lo stesso Saviano sottolineava come il boss Schiavone si fosse fatto costruire una villa uguale a quella del film Scarface di Brian De Palma. Garrone introduce una scena in Gomorra, nella quale due violenti aspiranti camorristi, si recitano l’un l’altro le battute del film proprio all’interno della villa abbandonata del capo dei Casalesi. La serie sembra infinita: abbiamo ora dei baby gangster che imitano dei giovani camorristi che a loro volta imitano Schiavone che si ispira ad Al Pacino. Neanche così il cerchio si chiude: De Palma, per Scarface si è ispirato ai lavori noir di Howard Hawks. Il cinema, come prima di esso il romanzo, ha sempre dovuto mitizzare la figura del deviante, ma non solo per evocare una fascinazione.
Ogni cultura interseca un rapporto complesso con ciò che vuole respingere. La mitizzazione e il titanismo romantico costruiti sulla figura del criminale di solito hanno scopi analitici. Le ricorrenti polemiche sul fascino della violenza e sulla cattiva influenza della fiction, mancano il bersaglio. Quello che è interessante in questo cortocircuito di rappresentazioni è che sono gli stessi criminali a nutrirsi di narrazioni. La figura del ribelle risulta in realtà un complesso prodotto culturale di chi non si pone fuori dalle regole, almeno da quelle dell’immaginario, ma le reinterpreta a proprio uso e consumo. I giovani di Milano hanno bisogno di un modello visivo forte per giustificare dal punto di vista identitario le proprie azioni. Quello che ignorano è che i loro stessi modelli nella civiltà dell’immagine avevano a loro volta bisogno di un’immagine preesistente cui ispirarsi. Di qui la sensazionale catena di rappresentazioni attorno a fenomeni come Romanzo criminale o Gomorra. I criminali dunque non si applicano alla violenza perché ispirati da un Male scritto o filmato, ma usano le narrazioni per giustificare ideologicamente le loro pulsioni criminali.
I rappresentanti dei media dovrebbero padroneggiare meglio questi meccanismi, per evitare di scambiare gli effetti con le cause.
I ragazzini di Quarto Oggiaro sono affascinati da Gomorra perché qualunque immagine di violenza, anche la più sgradevole, contiene sempre un elemento spettacolare, attingendo a materiale particolarmente profondo della nostra psiche e cultura. Chi pensa di eliminare la violenza cancellandone semplicemente la rappresentazione compie implicitamente un’azione di mera censura. Il problema non è la violenza che si mostra ma l’approccio all’immaginario che bisogna accettare nel suo rapporto ambiguo con la realtà.
Indice delle cose notevoli
Il best-seller di Saviano che descrive fra l’altro la fascinazione dei boss per il cinema hollywoodiano: Roberto Saviano, Gomorra, Milano, Mondadori, 2006 L’adattamento cinematografico del libro, premiato a Cannes: Gomorra di Matteo Garrone, Dvd strato singolo, 01 Distribution, 2008
Una visita nella villa hollywoodiana di Walter Schiavone:
Una veemente critica di Gomorra come fenomeno editoriale: Alessandro Dal Lago, Eroi di carta.
Il caso Gomorra ed altre epopee, Roma, Manifestolibri, 2010
Il film che ha creato una nuova estetica criminale: Scarface di Brian De Palma, Dvd strato singolo, Universal Picture, 2010