Il devastante terremoto in Giappone ha portato con sé una novità: per la prima volta le tv, ma anche i cittadini giapponesi riusciti a porsi in salvo dalle onde dello tsunami, sono riusciti a rimandare un incredibile numero di immagini, immediatamente diffuse nel mondo attraverso i social network, con un impressionante effetto di presa diretta e di moltiplicazione. In qualche modo avevamo visto un anticipo con i filmati del terremoto dell’Aquila, ma qui la devastazione ha toccato un’area vastissima, coinvolgendo una popolazione fortemente tecnologizzata, in grado di autorappresentare subito la catastrofe, cosa che è mancata per il famoso tsunami indonesiano del 2004. Quel che è importante è che finora la rappresentazione di un disastro non era delegata alle immagini video, ma piuttosto al cinema. Le marche rappresentative di uno sconvolgimento come quello operato dai terremoti potevano essere riprodotte unicamente sotto forma di effetti speciali. L’evento restava indicibile e assente, conoscibile solo attraverso le sue conseguenze: le macerie, i morti, le testimonianze dei sopravvissuti. Era il cinema con le sue possibilità immaginifiche a porsi il problema di rappresentare successivamente l’evento nel suo accadere. Basti pensare a un film come Gli ultimi giorni di Pompei che, per esempio, vanta ben nove remake, ma il catastrofico è un vero e proprio genere nato col cinema muto e mai tramontato. Finora la nostra costruzione estetica delle catastrofi era affidata più a immagini di film come Deep Impact o 2012, ma le tantissime immagini dello tsunami giapponese hanno riarticolato la nostra cognizione visuale.
È notevole che dopo il sisma i distributori giapponesi abbiano ritirato dai cinema il film Hereafter di Clint Eastwood perché conteneva un’impressionante sequenza riguardante un maremoto.
Il paradosso è che la rappresentazione finzionale è sembrata all’improvviso più insopportabile dei tanti filmati veri fatti col cellulare e diffusi su Youtube e sui quotidiani on-line.
Non si tratta di un amore per la realtà, quanto di un’esigenza ispirata dai nuovi media di appropriarsi di ciò che prima non era visibile. Migliaia di persone hanno sentito la necessità di “controllare” l’evento filmandolo, magari mentre rischiavano la vita. Da un lato sembra avverarsi la profezia pasolinana sul filmino di Zapruder: tramite il montaggio di migliaia di punti di vista differenti potremmo ottenere una riproduzione del fatto completamente “veritiera”. Al tempo stesso scopriamo che le riproduzioni audiovisuali diffuse moltiplicano all’infinito le immagini dello sconvolgimento, impedendo una rappresentazione unitaria e producendo un effetto di vertiginosa inquietudine.
Le immagini del maremoto somigliano così incredibilmente per scelte di inquadratura e taglio compositivo a quelle del film di Eastwood, dimostrando che l’occhio umano, relazionandosi a determinati fatti, non è mai vergine, ma parte sempre da acquisizioni estetiche precedenti. Proprio il cinema, apparentemente sconfitto sul piano della resa istantanea, si prende la rivincita, fornendo coordinate visive per approcciare esteticamente un evento mai visto prima.
Indice delle cose notevoli
Le immagini dello tsunami indonesiano immaginate da Clint Eastwood per Hereafter;
Immagini dello tsunami giapponese diffuse dalle tv;
Il libro di Pasolini che contiene il suo profetico saggio sul filmino di Zapruder: Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 2000