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Tanti uomini e una baionetta

Lo scorso luglio l’Unione europea occidentale (Ueo) si è integrata nella politica estera e di sicurezza comune (Pesc). Gli obiettivi dello strumento di cooperazione nato nel 1948, che ha contribuito a garantire pace e stabilità negli anni delicati post-conflitto, sono adesso nelle mani dell’Ue.
L’evoluzione funzionale dell’Ue garantisce infatti la sicurezza attraverso la previsione di aiuto ed assistenza fra gli Stati membri e si proietta verso l’esterno con la sua diplomazia. Prima ancora dell’alto rappresentante Pesc che garantisce il coordinamento tra i Paesi dell’Ue (posizione ricoperta per dieci anni da Javier Solana prima del passaggio a Catherine Ashton, con un ruolo potenziato grazie al Trattato di Lisbona) e del nuovo corpo diplomatico, l’Ue utilizza gli strumenti della politica commerciale e gli aiuti.
 
Tuttavia l’Ue non dispone di un esercito permanente. Per i suoi interventi l’Ue ha sviluppato la cosiddetta politica europea di sicurezza e di difesa (Pesd) e fa ricorso a contingenti speciali messi a disposizione dagli Stati membri per operazioni di mantenimento della pace, gestione delle crisi e missioni umanitarie. Dal 2004 esiste inoltre un’Agenzia di Difesa europea ed è crescente la cooperazione dell’Ue con la Nato. Ciononostante questo è un ambito in cui la competenza resta ai governi degli Stati membri e, per le decisioni con implicazioni militari o di difesa è tuttora richiesta l’unanimità dei 27.
Ma non tutti i Paesi dell’Ue sono membri della Nato (mancano all’appello Austria, Cipro, Finlandia, Irlanda, Malta, Svezia) e dell’Agenzia di difesa europea (la Danimarca ha scelto di non partecipare).
L’idea di un esercito comune alberga nelle menti degli europeisti più convinti, cioè chi si considera un fondamentalista europeista, ma potrebbe essere una mera proposta di razionalità economica.
 
Secondo Sipri, i 27 Paesi dell’Ue nel 2010 hanno speso nel settore militare 288 miliardi di dollari, poco più dei 230 dei Bric, ma molto meno dei 687 miliardi statunitensi. Se la Nato ha invitato i Paesi membri a spendere il 2% del Pil in ambito militare, in pochi arrivano a questo livello: Germania e Italia sono all’1,4%, Francia al 2%, Regno Unito al 2,7% e gli Stati Uniti al 5,4%. Inoltre, la figura mostra una dinamica sostanzialmente piatta della spesa militare dell’Ue dal 1993 (anno in cui poniamo la spesa pari a 100) al 2010.
Se è arduo aumentare la spesa militare in tempi frugali, bisogna riflettere sulla qualità della spesa. Gli ultimi conflitti dimostrano l’importanza della tecnologia e la capacità di operare in contesti lontani; questo richiede maggiori investimenti (in particolare nei mezzi navali e aeronautici).
 
Se i Paesi dell’Ue spendono il 42% di quanto spendono gli Stati Uniti, il personale militare dei 27 (circa 1,7 milioni di soldati) è superiore del 14%!
La presidenza polacca dell’Ue ha aperto il semestre affermando che, anche alla luce della recente esperienza libica, è necessario pensare ad una maggiore integrazione degli eserciti europei. Questo permetterebbe una specializzazione delle competenze dei Paesi membri, una razionalizzazione del personale militare e maggiori investimenti per essere più efficaci sullo scenario internazionale.


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