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Tempo di decidere

Il mondo dell’energia sta vivendo una profonda trasformazione: un settore che per lungo tempo è stato governato da processi consolidati e ben noti, sia in ambito produttivo sia in ambito commerciale, oggi invece viene attraversato da profondi e rapidissimi mutamenti. I primi impulsi trasformativi sono venuti, da un lato, dal pubblico riconoscimento dello stato di degrado del nostro pianeta, dall’altro, dall’affacciarsi alla ribalta dello stile di vita occidentale di un gigante come la Cina e, a ruota, degli altri Paesi che oggi definiamo “emergenti” e solo ieri consideravamo, senza badare al politically correct, semplicemente il nostro Terzo mondo.
 
Gli eventi di questi primi mesi del 2011, dalle rivoluzioni in Nordafrica alla tragedia di Fukushima, hanno impresso un’ulteriore accelerazione a questa trasformazione. Spinte altrettanto importanti vengono dalla scoperta di tecnologie che rendono economicamente vantaggioso sfruttare i giacimenti di gas unconventional negli Stati Uniti e in Europa, la messa a punto di sistemi di produzione di biocarburanti di seconda generazione – settore che vede oggi l’Italia tra i leader mondiali nella ricerca –, ma anche una nuova idea di “politica partecipata”, favorita da programmi come il Patto dei sindaci (Convenant of mayor), che fonda un nuovo legame tra locale e globale, fino al concetto di produzione diffusa dell’energia e di smart grid, smart city e smart consumer.
Infine, un ulteriore fattore di sommovimento deriva oggi dal fatto che l’energia non è più soltanto materia da addetti ai lavori: la recente esperienza del nostro Paese con il referendum sul nucleare, piaccia o no, lo testimonia.
 
Chi ha il compito di organizzare un quadro regolatorio stabile ed efficiente deve rendersene conto. Altrettanto è bene che facciano le imprese che operano nel settore, e gli operatori dell’informazione. Il consenso informato intorno alle scelte è tutt’altro che una via semplice. Ma nell’era della infosfera e della comunicazione permanente è l’unica percorribile.
Sono, tutti questi, fattori che costringono ciascun Paese ad avviare riflessioni profonde su strategie energetiche e visioni del futuro, a interrogarsi su come sopperire al fabbisogno, sempre crescente, di energia e come di conseguenza ristrutturare il proprio mix energetico, equilibrio perfetto quanto idealistico che dovrebbe garantire di rispondere alla domanda di energia, far ripartire l’economia, salvaguardare il pianeta.
 
L’attualità energetica si impone oggi all’agenda dei governi. Proseguire secondo un consunto status quo oggi non sembra più possibile e la politica è chiamata a leggere con chiarezza non solo i singoli avvenimenti, ma come si concatenano, quali scenari generano e quali possono invece aprirsi intervenendo in un modo o in un altro. Senza contare che nel mondo 1,6 miliardi di persone non hanno accesso a forme moderne di energia.
Se guardiamo un po’ più da vicino al nostro Paese, invece, e ci interroghiamo sullo specifico di quest’Italia di inizio millennio alle prese con il suo intricatissimo rebus energia, le cose si fanno ancora più complesse.
La schematica definizione del mix che venne fissata dal ministro Scajola, con il suo 25% di nucleare, se era impegnativa all’epoca in cui venne espressa, oggi, dopo il referendum di metà giugno, quell’opzione viene a perdere una delle sue gambe più significative e costringe a nuove, e meno schematiche, rimodulazioni. Tutto ciò, inoltre, accade in un momento in cui il settore delle rinnovabili (seconda gamba da 25%) è in sofferenza, non tanto per eventuali deficit numerici o confronti con il resto d’Europa, quanto per un’evidente mancanza d’intesa tra gli attori principali di questa partita: le vicissitudini dell’ultimo Conto energia infatti testimoniano soprattutto questo.
 
Resta la gamba principale, quella del gas, da sempre puntello principale della nostra economia, insieme al carbone che, seppure in maniera molto minore (13%), continua a garantire una certa solidità al nostro sistema energetico.
Oggi, tecnologie promettenti come la Ccs (Carbon capture and sequestration) consentono di contenerne l’impatto sull’ambiente rendendolo certamente più appetibile in un contesto generale giustamente sempre più sensibile a queste tematiche. Per il gas, come sappiamo, l’elemento di fragilità è la necessità di importare e la rigidità delle infrastrutture, così come dei legami politici e diplomatici. Lavorare a un nuovo equilibrio non è semplice, ma neanche impossibile, soprattutto se si sostiene con fiducia e lungimiranza, e con i dovuti investimenti, il settore della ricerca, che anche in tempi difficili come questi continua a portare sorprese. Non è però questione procrastinabile. Occorre continuare a parlarne. E decidere.


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