Il cuore del Piano nazionale della logistica 2011-2020 licenziato a inizio anno non è la programmazione delle infrastrutture, ma l’insieme di misure in grado di ottimizzare da subito le risorse investite nei servizi di trasporto e logistica, abbattendo tempi e costi improduttivi mentre maturano i progetti infrastrutturali nazionali ed europei. Il contributo che il Piano dà sul tema delle infrastrutture è soprattutto la sollecitazione a mettere a fuoco, all’interno della rete nazionale complessiva e con attenzione alla portualità, una rete multimodale di corridoi e nodi che sia funzionale alla mobilità merci interna e strategica per ancorare il territorio nazionale ai flussi, vecchi e nuovi, degli scambi internazionali. Questa visione di rete portante per le merci porta con sé un criterio di priorità per i colli di bottiglia da risolvere, che saranno appunto quelli che strozzano la capacità dei corridoi e l’accessibilità dei relativi nodi.
Al cuore del Piano sta semmai la correlazione posta tre le 10 linee strategiche e tra le 51 Azioni indicate per attuarle, perché una migliore offerta logistica è il prodotto finale di una catena di condizioni normative e operative favorevoli per le imprese che stanno sul mercato e, quindi, occorre agire in parallelo su più fronti: semplificazione, sviluppo d’impresa, innovazione, intermodalità.
Su queste basi Federtrasporto ha collaborato ai lavori del Piano. Ne ha condiviso gli indirizzi e la preferenza per una impostazione operativa, costruita su analisi già disponibili sulle strozzature di sistema e dati di benchmark internazionale e verificata mediante la consultazione degli operatori e dei territori.
A sei mesi dal varo del documento, due dati sono significativi. Il primo è il deficit della bilancia commerciale di settore che nel 2010 ha sfiorato gli 8 miliardi, in rapido peggioramento ormai dal 2006 (-4,8 miliardi) con la sola eccezione del 2009, anno in cui la pesante contrazione degli scambi e dei noli – soprattutto marittimi – ha contenuto le perdite. Purtroppo stiamo consegnando a soggetti esteri quote crescenti, non calanti, del valore aggiunto prodotto dalle attività di trasporto transfrontaliere.
Il secondo dato è l’ulteriore erosione delle quote di mercato che gli operatori nazionali riescono a presidiare. Il cargo aereo italiano nel 2010 è in recupero, ma le merci che attraversano su camion le nostre frontiere utilizzano ormai un vettore italiano in 28 casi su 100, e solo 15 passeggeri aerei su 100 le attraversano con un vettore nazionale. Il contributo al deficit della bilancia dei pagamenti è di 1,7 miliardi per l’autotrasporto (raddoppiato sul 2006) e di 3,4 miliardi per il trasporto aereo di persone (quadruplicato sul 2006): insieme equivalgono al 65% del totale.
Raramente le riforme producono effetti immediati, ma l’impressione chiara è che non si sia prodotta finora un’inversione di tendenza nei servizi che pesano di più.
Lo Sportello unico doganale è al primo posto tra le 51 Azioni previste dal Piano della logistica. Considerato che i transiti doganali sono diffusamente indicati come uno dei fattori che, nel confronto europeo, penalizzano direttamente la resa delle merci che scelgono i porti e gli aeroporti italiani, lo Sportello unico è una delle piccole grandi riforme in grado di contribuire molto allo sviluppo dell’offerta logistica nazionale. Si sono fatti i primi passi per avviare il cantiere ma va fatto il possibile per arrivare ai migliori standard europei.
Va nella giusta direzione l’accordo sulla distribuzione urbana delle merci, previsto dal Piano e da poco concluso tra l’Anci e la Consulta per l’autotrasporto e la logistica presso il ministero. L’accordo mira a “evitare la proliferazione di assetti regolatori locali disparati, tanti quante sono le città o le amministrazioni che si avvicendano” che moltiplicano inutilmente i costi per gli operatori.
Un altro tema importante a cui si lavora è il coordinamento delle piattaforme telematiche del Sistri per il tracciamento dei rifiuti, di UirNet per la logistica integrata e intermodale, dell’Albo dell’Autotrasporto per la sicurezza della circolazione dei veicoli pesanti, e Galileo, nel quadro del piano nazionale per i trasporti intelligenti richiesto dall’Ue.
Questi cantieri sono strategici, ma per loro natura hanno tempistiche medio-lunghe e non bastano a dare al mercato il segnale di un irreversibile aggiustamento di rotta che gradualmente si lasci alle spalle gli aiuti indifferenziati e distorsivi, e premi invece le imprese che investono dove serve di più.
L’agenda degli ultimi sei mesi mostra ancora in primo piano l’autotrasporto, con i negoziati attuativi della legge di agosto 2010 che ha chiuso, in modo controverso, una vertenza durata tutto il biennio della crisi economica, di fatto subordinando le politiche per la logistica a garanzie di conservazione di un assetto di categoria che frena l’ingranaggio dell’innovazione di sistema.
Se l’autotrasporto è in Italia la modalità di gran lunga dominante, è necessario affrontare la sua modernizzazione. Se la spinta conservatrice prevalente all’interno è così forte da contrastarla, è necessario almeno rafforzare tutte le misure esistenti o riconosciute dal Piano come capaci di trainare gli altri attori verso livelli di servizio più integrati, a tutela della loro concorrenzialità e dell’occupazione.
E a questo proposito merita una seria riflessione anche l’impatto che il mercato unico europeo sta generando sulle nostre imprese, quando applicano per legge standard di sicurezza e sociali più rigorosi di quelli a cui rispondono i concorrenti di altri Paesi. Va ricercato un equilibrio migliore tra i vantaggi del mercato integrato continentale e le asimmetrie regolatorie, pur legittime, che determinano vantaggi competitivi fondati sul dumping sociale o di sicurezza. Un’amara lezione viene dal mercato aereo passeggeri: l’ingresso massiccio di compagnie estere, soprattutto low cost, sui nostri mercati si è avuto in concomitanza con le turbolenze dell’ultimo anno della vecchia Alitalia, la chiusura finale e l’avvio graduale della nuova compagnia. Recuperare terreno dopo che si è lasciato il campo aperto ai concorrenti è oggi ancora più difficile in presenza di maggiori vincoli e costi, di sicurezza e sociali, a carico delle compagnie nazionali.