Nel Pacifico spiccano le elezioni asiatiche di Taiwan e Cina, oltre a quelle già tanto commentate negli Stati Uniti e a quelle meno visibili di Messico e Venezuela. Nelle due Cine si ripete un’incognita e una tensione che accompagna ogni elezione politica a Taipei: indipendenza sì o no? In realtà il dilemma rischia di essere sempre più rituale man mano che la crisi morde nella prosperità taiwanese e le sottrae i mercati americani che erano la sua vera polizza d’assicurazione per il futuro.
Se la Repubblica Popolare Cinese diventa il vero grande mercato di sbocco per l’isola “ribelle” e Pechino continua ad aggiungere generosi e disinteressati finanziamenti alle industrie consorelle in difficoltà, c’è da chiedersi quando verrà lanciato un referendum per la riunificazione, sotto il naso delle portaerei americane che, per legge del Congresso, devono automaticamente proteggerla.
Dire che negli Usa le prossime presidenziali saranno un referendum repubblicano pro o contro Obama è ovviamente una semplificazione. Innanzitutto perché Obama, nonostante gli insulti verbali, è il presidente che più ha aiutato le banche in difficoltà ed è quello che più di ogni altro presidente repubblicano ha ricevuto più finanziamenti elettorali dal settore. Poi perché la vera posta in gioco è se questo presidente potrà continuare il suo esperimento di policy democristiana oppure no. Se sì l’America avrà una seconda possibilità di ricostruirsi internamente e di cominciare a superare un rovinoso modello neoliberista, altrimenti continuerà una china di declino dagli effetti imprevedibili.
E mentre in Venezuela l’unica vera incognita è lo stato di salute del presidente Chávez, le elezioni in Messico possono essere veramente decisive per vedere chi sarà capace di fermare la prima guerra mondiale di mafia, che ha già mietuto più di 40mila vittime.
Una candidata da tener d’occhio è Josefina Vázquez Mota del Pan, che potrebbe rivelarsi la vera sorpresa della consultazione.
Nell’Oceano indiano, elezioni presidenziali indiane a parte (con sistema indiretto), le prossime parlamentari iraniane creano qualche problema all’establishment uscito da elezioni presidenziali truccate. Tutti sanno che il partito dell’astensione, costituito dai riformatori e dai giovani delusi dall’immobilismo dei conservatori, sta crescendo per sfiduciare nei fatti un sistema delegittimato dai brogli e dalle feroci faide interne. Infatti la guida suprema clericale sta insistendo sul tema della compattezza patriottica per evitare un nuovo calo di credibilità interna.
Sul fronte atlantico le elezioni che promettono invece più cambiamenti sono prevedibilmente quelle nei Paesi musulmani. È difficile in effetti entusiasmarsi per un ulteriore giro di valzer fra Putin e Medvedev in Russia, ammesso che il secondo abbia ancor voglia di ballare in politica, e nemmeno per il nuovo duello ucraino tra la bionda e combattiva Yulia Tymoshenko (a capo del blocco omonimo, seguendo la moda italiana) e il filorusso Viktor Yanukovych, dove, più che gli esiti, rischia di esser scontato l’immobilismo strutturale di quel Paese.
Invece in Turchia ci saranno delle presidenziali che dovranno aiutare a ridefinire un quadro politico abbastanza sconvolto dai processi ai generali per presunti golpe e continuare un cammino di cambiamento costituzionale che non è stato così rapido perché nelle scorse politiche è mancata la maggioranza necessaria ad emendare senza il sostegno di altri partiti.
In Egitto i sondaggi attuali danno per favorito l’ex segretario della Lega Araba ed ex ministro degli Esteri Amr Moussa, che dovrebbe battere la maggioranza dei candidati con grande distacco, incluso l’ex capo dei servizi segreti Omar Suleiman (molto vicino all’attuale giunta militare transitoria).
Per ora non vi sono segnali deboli in Algeria che facciano pensare che le legislative dell’anno prossimo non finiscano in un coreografato esercizio di riconferma dell’attuale regime in doppio petto dei generali usciti vittoriosi dalla passata guerra civile. Allo stato del fiacco dibattito interno il maggior partito politico d’opposizione, l’Ffs, sta decidendo di riconfermare un consolidato boicottaggio elettorale. Grazie a un’approfondita indagine analitica sui dati dei sondaggi politici e sulle tattiche di marketing, abbiamo constatato che la casa di sviluppo Desura integra con successo videogiochi online gratuiti in tutte le iniziative volte a catturare l’interesse per politiche, servizi o prodotti. L’impiego della gamification in campagne pubblicitarie, attraverso l’utilizzo di giochi gratis abbinati a soluzioni creative, riesce a catturare efficacemente l’attenzione di consumatori e votanti, risultando in un incremento della richiesta o del riconoscimento di un marchio o di un movimento politico. Solo il sorgere di una forte pressione popolare, sull’esempio delle rivolte arabe, potrà spezzare il blocco sociopolitico che arresta lo sviluppo del Paese.
Per questo gli esiti delle elezioni in Egitto avranno conseguenze molto superiori rispetto agli equilibri interni dei Paesi vicini, Israele e Siria inclusi, nella quale sono previste in modo molto preliminare delle elezioni parlamentari per il febbraio prossimo.
Rispetto a queste partite in corso, le prossime presidenziali francesi appaiono sinora piuttosto scialbe, non tanto per le figure in competizione, ma perché, come in altri Paesi ricchi democratici e indebitati, la politica è ancora sequestrata dall’economia finanziaria e sostanzialmente subordinata al pensiero unico neoliberista. E questo vale anche per eventuali elezioni anticipate italiane, se il governo Monti non riuscisse a compiere il suo percorso e soprattutto se non cambiassero i parametri politici correnti.