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Quell’intreccio tra persona, azienda e comunità

La situazione di stallo in cui si trova oggi l’Italia non può non essere in qualche modo ricollegata all’aumento della distanza e alla conseguente incomunicabilità tra buona parte delle élites politiche e il Paese reale. Tale divaricazione ha contribuito, da un lato, ad una progressiva delegittimazione da parte della cittadinanza delle sfere istituzionali, alle quali spetterebbe anche il compito della rielaborazione collettiva dell’esperienza.
Dall’altro, essa ha portato ad una crescente autoreferenzialità delle istituzioni stesse, a una loro perdita di contatto con i mondi vitali e ad una inevitabile distorsione della loro capacità di visione, decisione e governo.
 
Questa deriva investe anche realtà istituzionali come l’università che, per loro natura e vocazione, dovrebbero restare fortemente agganciate alla vita delle persone e dei gruppi sociali. Incaricata di preoccuparsi della formazione delle giovani generazioni a vantaggio della crescita complessiva del Paese, la realtà universitaria appare talvolta più preoccupata di conservare l’esistente, ritagliandosi uno spicchio di mondo a propria immagine e somiglianza, piuttosto che promuovere un’accelerazione complessiva del sistema a partire non solo da un avanzamento delle competenze professionali, ma, ben più coraggiosamente, da una forma mentis più adeguata alle sfide epocali in atto.
È la preoccupazione per le conseguenze di questo vistoso sganciamento tra esperienza e rielaborazione dei saperi, tra la vita e una forma che rischia di svuotarsi di contenuti e di passione educativa, il motore che porta alla nascita di Parimun.
 
Acronimo di Partenariato Attivo di Ricerca Imprese-Università, Parimun è un progetto innovativo di dialogo e collaborazione tra mondo universitario e tessuto produttivo sviluppatosi nel febbraio 2008 all’interno della facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Padova.
L’idea che sta alla base di una formula che in quasi tre anni ha visto coinvolte oltre 60 realtà del mondo manifatturiero e dei servizi, privati e pubblici del Veneto, è quella di avviare un processo di formazione diffusa a partire non dalla pura astrazione teorica e metodologica, bensì dalle domande concrete provenienti dalle singole imprese.
Si tratta di un passaggio non semplice che ha richiesto una grande sensibilità nel presidio delle interfacce relazionali tra accademia, studenti e mondi produttivi. Il progetto si è preso cura sia dei giovani in formazione sia delle imprese. Ne ha ascoltato le istanze, le preoccupazioni e gli interrogativi, mediando tra linguaggi, logiche e saperi differenti.
 
È anche grazie a questo accompagnamento altamente personalizzato e continuamente rimodulato sui feed back di impresa e studente che sono stati raggiunti ottimi risultati. Oltre alla scientificità di prodotto e processo, il progetto ha generato valore diffuso anche rispetto al criterio dell’utilità: le imprese si avvantaggiano dei contributi riflessivi offerti dall’università; gli studenti hanno visto dischiudersi più facilmente l’accesso al mondo del lavoro; per l’università è un’opportunità preziosa di riposizionarsi quale spazio di ricomposizione e di rielaborazione del sapere a servizio di una comunità.
Nonostante l’eterogeneità delle prospettive di cui i soggetti coinvolti sono portatori, il progetto ha contribuito a sottolineare l’irrisolvibile intreccio tra sviluppo personale, imprenditoriale e collettivo. Parimun ci ricorda come sia possibile perseguire una crescita condivisa solo a partire dalla crescita umana e professionale di ciascun individuo e come, circolarmente, l’aumentata competenza del singolo si trasforma in vantaggio competitivo per l’intero territorio, in quanto irrorato da sapere diffuso.
 
Interessante è notare come il progetto veda la governance congiunta di rappresentanti del mondo imprenditoriale locali e docenti universitari, scelta che consente di mantenere vitale e significativo il rapporto tra pensiero – sia esso manageriale e umanistico – e azione. Si tratta, quindi, di una pariteticità che desidera trasmettere il senso di una corresponsabilità.
Non sono rari i partenariati tra realtà formative e imprenditoriali. Spesso, tuttavia, essi afferiscono alla sfera scientifico-tecnologica o all’ambito economico-finanziario. L’unicità della sfida di Parimun consiste anche nella sua capacità di rilanciare l’importanza della cultura umanistica nello sviluppo di un ragionamento della e sull’impresa. Soprattutto dell’impresa e dei territori italiani che dentro questa cultura affondano le radici.
 
Il messaggio che il progetto desidera lanciare va nella direzione di una rinnovata centralità della persona, pur nella contingenza del ruolo e della fase di vita, in una logica di collaborazione, invece che in una competizione dai molti perdenti.
L’attuale fase di crisi, che spingerebbe più facilmente a sviluppare ragionamenti di tipo meramente economico attribuendo il fallimento ad un’imperfezione solo tecnica del sistema, costituisce un’occasione imperdibile per metterne sul tavolo le premesse antropologiche. A fronte della compressione temporale che ha condotto a misurare l’esito dell’azione dell’impresa a brevissimo termine, Parimun – paradossalmente proprio a partire dai bisogni concreti dell’impresa – riapre il tempo, costringendoci a fare i conti con investimenti lunghi ma dalla restituzione certa.
 
Tutto ciò è però realizzabile a partire da un reale desiderio di cambiamento.
Nel nostro Paese, sembrano invece prevalere mere retoriche dell’innovazione, a cui difficilmente fanno seguito passi concreti. Diversamente, il progetto patavino ha richiesto agli attori in campo un vero riposizionamento: gli studenti
si impegnano a portare a termine percorsi più onerosi; le imprese si aprono per lasciarsi leggere e mettere in discussione; l’università si rimette in gioco a servizio delle esigenze reali del mondo produttivo territoriale.
L’esperienza di Parimun sembra suggerirci proprio questo: è possibile generare sviluppo solo a partire da una preoccupazione condivisa per il domani che non si tira indietro davanti all’impegno di oggi.

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