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Russia. Poca suspense, molti dubbi

Con una mossa che cancellava precedenti prese di posizione, Dimitry Medvedev il 24 settembre scorso ha proposto l’attuale primo ministro russo, Vladimir Putin, come prossimo capo dello Stato. Un presidente giovane, in salute e con un bilancio tutto sommato dignitoso del proprio lavoro, ha rinunciato alla seconda nomination per lasciare via libera all’uomo che è anche il suo predecessore. Una generosità rara nella politica internazionale. Senza precedenti in quella russa. Infatti né Putin né Eltsin avevano mai preso in considerazione l’ipotesi di mollare dopo il primo mandato. Senza dimenticare che Putin ha promesso a Medvedev la poltrona di futuro primo ministro, come interpretare queste giravolte? Passi avanti? Indietro? Passi falsi? È possibile che quel formidabile labirinto che è la politica russa inizi a segnare il passo girando a vuoto?
 
Dilemmi che ognuno cerca di risolvere secondo parametri politici ma anche morali ed etici che gli sono propri. Vi è chi ritiene che il 24 settembre non si sia fatto altro che svelare un patto siglato nel 2008, anno del debutto presidenziale di Medvedev. Una commedia superbamente recitata dal tandem al governo. Simulazioni, dissimulazioni e inganni che a loro volta ne nasconderebbero altri perfettamente inscenati e gestiti dal potere. Analisi di questo tipo trovano il proprio humus nella generale perdita di prestigio della politica e nell’indubitabile livello di autoritarismo che caratterizza l’attuale fase della Russia postcomunista. Difficile però credere che una società dinamica, a volte spumeggiante, come la Federazione possa essere irremovibilmente imbrigliata da combine tra due persone.
 
Altrettanto vero è che a parlare senza fronzoli di “accordo” siano stati proprio Putin e Medvedev. In realtà un patto esiste e coinvolge quasi tutte le élites russe: modernizzare il Paese. Ma questo punto oltre a rappresentare il consenso di fondo di politica ed economia federale è anche fonte di duri contrasti. Modi e tempi della modernizzazione rappresentano il vero, possibile, casus belli interno alla Russia. Lo ha chiaramente detto, anche qui senza giri di parole, Igor Jurgens, direttore dell’Insor, il think thank per eccellenza del progetto. In una intervista a gazeta.ru, l’analista vicino al presidente uscente ha parlato dei vari aspetti della modernizzazione e dei “rischi crescenti” cui questa espone il Paese. All’interno di tale scenario Jurgens vede una lotta di “peso” tra “clan” che vogliono affrontare i rischi e chi invece cerca di rinviare le scelte. In questa battaglia persa dalla squadra che “apertamente o meno” appoggia Medvedev sta secondo il politologo la ragione del passo indietro del leader del Cremlino.
 
Ma perché il capo dello Stato si è umiliato al punto di proporre alla presidenza la persona che fino a quel momento era stata il suo competitore? Perché, qui sta il nocciolo del cedimento di Medvedev, nel momento in cui esplodono le rivolte mediorientali nell’establishment russo ritorna l’angosciosa paranoia delle crociate democratiche guidate dagli Usa il cui scopo ultimo è, per Mosca, l’implosione della Federazione russa.
 
Chi condivide questo punto di vista teme un’autentica campagna presidenziale in quanto metterebbe in crisi il fragile equilibrio del Paese. “Stabilità”: questo è il concetto che i due politici, ma non solo loro, ripetono come un mantra per spiegare i propri comportamenti. Lo fa Putin in diverse occasioni dopo il 24 settembre. Lo fa Medvedev chiamando a raccolta i propri simpatizzanti per spiegare, e giustificare, le proprie mosse. Un passo questo compiuto, non a caso, dopo “l’abdicazione”. Fatto prima avrebbe rappresentato la fine dell’intesa cordiale con Putin e l’inizio di contrasti incontenibili e mortali per il Paese. L’opposizione accusa il Cremlino di usare strumentalmente il tema della stabilità caro, specie dopo i “selvaggi anni ‘90”, a tutti i russi. In realtà la possibilità del mutamento incontrollato ossessiona da sempre storia e cultura politica di Mosca. Nel 1818, a tre anni dalle concessioni costituzionali fatte ai polacchi, Alessandro i affermava che la Russia avrebbe goduto di un passo simile solo quando sarebbe stata “stabile”.
 
Dando per scontata la vittoria finale di Putin quale sarà la politica del nuovo-vecchio presidente? Due interventi del premier russo, 6 e 17 ottobre, un forum di Vtb Capital e un’intervista tv a reti unificate, permettono qualche risposta. In politica estera il premier, più europeista che mai, accetta la svolta occidentale di Medvedev. Con Pechino invece si ammette che al momento per Mosca non esiste altro ruolo che quello di partner minore. Non solo, dall’esito delle quasi contemporanee presidenziali Usa dipenderà il destino della “ripartenza” voluta nel 2009 da Obama e Medvedev. Al di là dell’aiuto russo cui Washington ha bisogno per risolvere le questioni Iran e Afghanistan, l’idea putiniana di riesumare l’Unione euroasiatica, un progetto nato nel 1991 e mai uscito dallo stato di vaghezza, è vista dagli Usa come un tentativo di creare una nuova versione del vecchio impero che riaccenderebbe la tensione tra i due Paesi.
 
In politica economica il premier russo, spinto dalle dimissioni di Kudrin, ha affermato che intende percorrere i sentieri già tracciati dall’ex ministro con l’uso conservatore della leva fiscale. In caso di nuova crisi finanziaria il Paese non si troverebbe impreparato come nel 2008. Il punto critico del bilancio federale sarà sempre il prezzo del petrolio, questione su cui dentro l’amministrazione federale esistono aspettative differenti. Note positive invece dalla lotta all’inflazione, bloccata al 7% dalla Banca centrale e promessa in discesa da Putin. Il futuro presidente ha finora evitato ogni critica al comportamento di Gazprom, il cui mercato di capitalizzazione è passato dai 360 miliardi di dollari del maggio 2008 ai 120 attuali. Anche sul problema del prezzo del gas Putin ha sposato le tesi del monopolista: il costo dell’oro azzurro deve restare vincolato a quello del petrolio.
Nel riferire della svolta del 24 settembre tutti i media federali hanno usato un termine scacchistico: rokirovka, arrocco. Si tratta della sola mossa con cui il giocatore può muovere due pezzi contemporaneamente. Solo così il re attaccato può allontanare il pericolo. Funzionerà?

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