In un clima di grandi riforme, soprattutto in ambito finanziario, la Commissione europea ha recentemente chiuso un anno di riflessione, avviata con un libro verde, proponendo una riforma dell’imposta sul valore aggiunto. L’Iva è una delle principali fonti di entrate per i bilanci nazionali (dal 14,4% del totale in Italia al 18,4 della Germania), ed è probabile che lo sia sempre di più se si considera l’impatto della crisi economica e dell’invecchiamento della popolazione sulle imposte relative al lavoro e al capitale. Per rimediare ai recenti problemi di finanza pubblica, molti Paesi hanno già aumentato le aliquote (il 17 settembre siamo passati dal 20 al 21% e probabilmente raggiungeremo il 23% nel 2012) in quanto le imposte sul consumo sono considerate, in generale, un’entrata più stabile e meno penalizzante per la crescita.Il modello europeo è stato concepito nel 1967 per il funzionamento del mercato unico permettendo alle imprese di operare tra i Paesi membri nello stesso modo di come operavano già in casa.
La Commissione aveva quindi proposto un modello di tassazione nel Paese di origine, con una struttura di aliquote armonizzate e un meccanismo di compensazione per la ridistribuzione delle entrate Iva tra Paesi. Ma la mancanza di consenso da parte di questi e il bisogno di poter far circolare liberamente merci e servizi all’interno dell’Ue quanto prima, ha portato il Consiglio ad adottare un regime transitorio permettendo ai Paesi di destinazione (e non a quelli di origine) di riscuotere l’Iva ciascuno con le proprie aliquote. Un regime transitorio nato per durare solo quattro anni, che non è più stato modificato e si è consolidato nella pratica commerciale.
Nella nuova proposta di modifica, resasi necessaria per il maggiore grado di internazionalizzazione delle attività economiche rispetto al 1967, la Commissione ha abbandonato l’idea di introdurre il principio di origine proponendo un miglioramento di quello in vigore con riferimento a tre aspetti principali: semplificare l’attività delle imprese, aumentare la base imponibile e combattere le frodi. Il nuovo sistema di gestione dell’Iva dovrà essere più semplice e trasparente, riducendo i costi per imprese – soprattutto per le Pmi – e stimolando il commercio all’interno dell’Ue a favore della crescita.
Sempre con l’obiettivo della semplificazione, si potrebbe sicuramente limitare il ricorso delle aliquote ridotte da parte di ciascun Paese. Maggiore armonizzazione sarebbe innanzitutto coerente con il nuovo patto di bilancio tra 26 Paesi membri (Consiglio europeo del 9 dicembre scorso). Inoltre, l’ampliamento della base imponibile consentirebbe di generare nuovi flussi di entrate per i Paesi, necessari per il risanamento fiscale e una crescita economica sostenibile, senza dover necessariamente aumentare le aliquote. Se fossero abolite esenzioni e riduzioni, in alcuni Paesi l’aliquota Iva normale potrebbe addirittura essere ridotta senza ripercussioni sulle entrate.
Rimane, infine, il sempreverde problema del minor gettito causato dall’Iva non versata. Si stima che nell’Ue circa il 12% dell’imponibile Iva non sia riscosso (l’Italia trionfa con il 22%). Oltre all’impegno di ciascun Paese, per contrastare tale fenomeno la Commissione proporrà degli strumenti tra i quali la creazione di un gruppo di revisori transfrontaliero al fine di facilitare i controlli multilaterali.