Idolatrato o aborrito nel mondo, in Russia Henry Kissinger sarà sempre il benvenuto. Soprattutto da Vladimir Putin. Venerdì scorso a Mosca l’uomo che Richard Nixon aveva definito “il primo ministro degli esteri Usa senza la riga tra i capelli” ha dato l’ennesima prova della sua ammirazione per l’ex presidente, attuale primo ministro e a breve nuovo capo di stato della Federazione russa. Uscendo insieme a Putin da un incontro top secret al quale non era stato ammesso nemmeno il portavoce del premier russo , l’ex premio Nobel americano per la pace ha sottolineato di aver “personalmente appreso molto” da Putin.
Non è la prima volta che l’artefice della distensione tra Mosca e Washington da il proprio caloroso appoggio al leader del Cremlino. Si può anzi affermare che ad ogni snodo fondamentale della Russia putiniana, Kissinger abbia costantemente espresso comprensione e sostegno ai governanti federali . Ingresso nel G8, tensioni relative al nucleare iraniano, rapporti con l’Ucraina, postumi della guerra in Georgia, nuova amministrazione Obama, mai il principale esponente della scuola americana di realismo politico ha dimenticato l’importanza della stabilità per la Federazione. Volontà del Cremlino di ristabilire l’autorità presidenziale, ricerca della multipolarità nelle relazioni globali, rifiuto della guerra preventiva, sempre le analisi di Kissinger hanno richiamato i leader internazionali a non trascurare la storia russa e le sue “pesanti ipoteche” su psicologia e scelte politiche di Mosca.
Pronunciate a circa un mese dalle elezioni presidenziali le nuove parole dell’artefice della distensione tra Mosca e Washington devono essere risuonate particolarmente gradite a Putin e alla sua strategia di comunicazione politica. Se a questo si aggiunge la necessita di non bloccare la “ripartenza” tra i due paesi voluta nel 2009 da Obama e Medvedev ribadita da Michael McFaul, nuovo ambasciatore di Washington in Russia, si può dire che la Casa Bianca abbia finalmente preso atto che sarà Putin il nuovo-vecchio presidente del grande stato slavo. Le buone notizie per il premier russo non finiscono però qui. Anche se l’umiliazione del secondo turno elettorale non è ancora scongiurata, i sondaggi lo danno in ripresa. Venerdì scorso inoltre il primo ministro ha potuto finalmente annunciare dati demografici positivi. Per la prima volta da 19 anni, nel 2011 la popolazione federale è in crescita. Un saldo netto positivo di 160mila persone rispetto allo scorso anno dovuto a nuove nascite, 1793000, e tasso di mortalità in calo dello 5,6 percento.
Anche l’opposizione fa meno paura. Una settimana fa l’attivista antigovernativo Sergej Udalzov, ha dato dello stato organizzativo del movimento di protesta un giudizio simile a quello emesso prima di Natale dal capo del governo. Il dissenso russo manca di programma unitario e leadership condivisa. Effettivamente nel comitato che ha dato vita alle due manifestazioni di dicembre vi è di tutto. Giornalisti liberali, moderatori televisivi, scrittori famosi, tranne la politica. Solo Boris Nemzov e Vladimir Ryzhkov fanno parte di un partito, Parnas, partito del popolo libero, cui però è stata negata la registrazione. L’unico movimento politicizzato è il fronte della sinistra. Comunisti e nazionalisti sono stati però esclusi dall’organizzazione. Il partito comunista ufficiale e i democratici di Jabloko hanno manifestato separatamente. Il comitato vuole darsi nuove strutture e, volendo ampliare le basi della protesta, cerca di includere queste forze politiche.
In riunioni a inizio gennaio, oltre a porre la questione della nascita di una lega di elettrici e elettori russi, il movimento ha fatto balenare la possibilità di dar vita a un assemblea costituente. Anche la formazione di un governo provvisorio ha trovato posto in discussioni concluse senza risultati. Lo stesso è successo al tentativo di trovare un candidato comune per le presidenziali del 4 marzo. Le poche personalità su piazza non hanno grandi chance. Grigori Jawlinski, presidente di Jabloko,non è in grado di raccogliere le firme necessarie. Il leader comunista Ziuganov , al suo quarto tentativo, è di nuovo senza speranze visto che gli elettori liberali non lo voteranno. Il miliardario Michail Prochorov , terzo uomo più ricco del paese, per darsi un profilo liberale si è presentato all’ultima manifestazione dell’opposizione. Nonostante nel suo programma abbiano trovato spazio le richieste dei dimostranti non verrà votato. Il movimento di protesta lo ritiene una marionetta del Cremlino. L’ultima arma potrebbe essere il blogger Alexej Navalny. L’attivista anticorruzione membro del comitato organizzatore delle manifestazio0ni. Capacità oratorie e vicinanza alle forze nazionaliste ne fanno il candidato in grado di unire i due schieramenti, destra e sinistra, del fronte anti-Putin. Difficilmente però Navalny riuscirà a registrare la propria candidatura.
L’incapacità di unificare le forze prima del 4 marzo potrebbe acuire le fratture dell’opposizione. La marginalizzazione del dissenso, iniziata col secondo mandato di Putin, ne risulterebbe esasperata. Dopo le prime illusioni, le poche persone che dal crollo sovietico in Russia hanno cocciutamente combattuto per libertà e democrazia sanno che il cambiamento della società russa arriverà alla fine di un lungo percorso. Liudmila Aleksejeva, ottantaquattrenne combattente per i diritti umani, lo ripete da anni. Putin può dunque tirare un sospiro di sollievo. Il futuro presidente rischia però di perdere il contatto con la società, non essere più in grado di leggere i cambiamenti in corso nelle elite più colte del suo paese e non capire gli umori dei gruppi più dinamici del paese. Ceti che dallo stato non si aspettano le prebende con cui il primo ministro è abituato a calmare le proprie clientele, impiegati, militari e pensionati.
Chi scende oggi in piazza in Russia non cerca aiuti materiali ma vuole che il governo investa in beni pubblici per modernizzare sanità, istruzione, infrastrutture e un sistema giudiziario tra i più corrotti al mondo. Ceti alla ricerca del proprio ruolo in stato più onesto ed efficiente. Chi governerà potrebbe scegliere di barricarsi osteggiando ogni possibilità di cambiamento, credendo o sperando che tutto finirà presto. Se cosi fosse la vittoria elettorale sarebbe ancora a portata di Putin, quella dell’iniziativa politica potrebbe invece sfuggirgli di mano. Nel caso di mancanza di flessibilità verso le richieste dei manifestanti, il prossimo presidente potrebbe diventare un corpo estraneo al suo stesso popolo. In fondo a dare in pochi giorni dimensioni di massa alle proteste è stato il rifiuto cocciuto alla richiesta di dimissioni di Vladimir Churov, responsabile della Commissione centrale elettorale. Una decisione che Kissinger non avrebbe sicuramente approvato. Troppo ideologica.
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