Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

La maledizione Ceausescu

Chi ha visto il filmato dell’esecuzione del “Condučator” della Romania e della moglie Elena il 25 dicembre 1989, ricorderà che mentre il primo intonava l’Internazionale la seconda lanciava una tremenda maledizione. In effetti, Elena Ceauşescu lanciava improperi sin dal 22 dicembre quando una manifestazione organizzata a favore del regime si tramutò in un boomerang. La maledizione e gli improperi riguardavano anche i “latini” dell’Europa occidentale che non sarebbero accorsi in soccorso dei loro “cugini” sulle sponde del Mar Nero.
 
“Non è vero ma ci credo”, avrebbe detto Edoardo De Filippo, a proposito degli effetti delle maledizioni. Per un caso forse fortuito, mentre a Bucarest si svolgeva l’ultimo atto della tragedia, a Roma il ministro del Tesoro Guido Carli e il governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi andavano in televisione annunciando, lieti, una decisione che ci avrebbe costretto alla crescita rasoterra per più lustri e che minaccia di continuare a farlo per decenni a venire (se non corretta). Unicamente il quotidiano Avvenire e Formiche lo hanno ricordato in queste settimane in cui si delinea il programma CrescItalia.
 
Allora vigevano gli accordi europei di cambio (una rete di intese e prestiti reciproci tra banche centrali giornalisticamente chiamato Sme), le monete delle “parti contraenti” fluttuavano del 2,25% attorno a “parità centrali” (il tasso di cambio gestito collegialmente); la lira italiana e la peseta spagnola potevano fluttuare del 6% poiché Italia e Spagna avevano una maggiore propensione all’inflazione e mantenevano restrizioni valutarie. L’annuncio riguardava l’abolizione delle ultime barriere valutarie e simultaneamente l’ingresso della lira nella fascia stretta dello Sme. Conoscenze minime di economia politica e buon senso avrebbero richiesto di attendere qualche mese tra l’abolizione delle restrizioni valutarie e l’ingresso nella fascia stretta al fine di toccare con mano quale fosse il cambio della lira che i mercati considerassero espressione e delle parità di potere d’acquisto (quanto con 10mila lire si poteva comprare nel resto del mondo) e del valore della valuta estera.
 
In breve, ci auto-sovrapprezzammo con le nostre mani, tanto che quando il 17 settembre 1992 sospendemmo temporaneamente l’applicazione degli accordi di cambio, la lira fece un tonfo del 30%. Tornammo, però, al cambio del primo gennaio 1990, quando a fine 1996 rientrammo nello Sme allo scopo di fare parte della “pattuglia di testa dell’euro”. Non avevamo, in effetti, scelta: le regole di Maastricht congelavano i cambi al 1990. Dal 1990, la crescita dell’Italia è rasoterra e la quota dell’export mondiale del Paese si è contratta dal 5% a meno del 3%. Il cambio è il “prezzo dei prezzi”. Un cambio che non rappresenta parità di potere d’acquisto e valore sociale della valuta è un freno all’economia e distorce i rapporti tra settori aperti alla concorrenza internazionale e settori rivolti al mercato interno. Se non ne usciamo, la decisione presa forse come conseguenza della maledizione di Elena Ceauşescu porterà all’impoverimento delle generazioni future e all’implosione dell’euro (altri Paesi si trovano in condizioni analoghe).
 
L’euronegoziato in corso a Bruxelles potrebbe essere l’occasione per affrontare il nodo se, senza tabù, il governo ha la forza di farlo. Non si tratta solo di pensare a un “euro a gironi concentrici” (di cui si parla nei corridoi del Fondo monetario) ma anche a soluzioni intermedie quali un’allocazione speciale di eurobond a chi è stato colpito dalla maledizione al fine di facilitare il riscatto dello stock di debito e l’avvio di investimenti per la crescita.
Dopo oltre ventidue anni (quasi un quarto di secolo) la politica dello struzzo non fa bene a nessuno. Se l’eurozona implode ne soffrono pure Germania, Austria, Benelux e Finlandia (che sembrano così forti).
×

Iscriviti alla newsletter