Il recente avvicendamento tra il governo Berlusconi e quello Monti ha segnato anche una cesura rappresentativa nell’immaginario, ripresa e semplificata spesso sotto l’etichetta “sobrietà contro istrionismo”. Commentatori come Serra e Gramellini hanno addirittura proclamato un congedo dalla civiltà dell’immagine, una supposta “fine degli anni ‘80”. Eppure l’attesa di uno stile differente per il governo ha creato un nuovo sistema di immagini. Monti è stato visto come la nemesi di Berlusconi. Il suo “grigiore” è diventato paradossalmente segnale di un carisma altrettanto forte. Il primato dell’immagine dunque non è stato scalfito, semplicemente si è passati da un archetipo rimasto in auge per 20 anni ad un altro, altrettanto forte e virtuale.
La necessità di narrazioni e di personaggi in politica non sono dunque un sottoprodotto superficiale ed eliminabile dalla comunicazione, come sembrano pensare alcuni, ma è anzi uno degli universali tramite i quali si costruisce l’identità collettiva del Paese. Per anni il modello Berlusconi ha indubbiamente soddisfatto profondi requisiti psicologici di una parte del Paese, fino al momento in cui questi bisogni hanno partorito la necessità di nuove immagini, un naturale spostamento che più volte si riscontra nella storia.
Il fatto che il bisogno di immagini sia in larga parte inconscio si porta dietro un quoziente di imprevedibilità: nessuno, neppure un grande esperto di comunicazione, può prevedere in anticipo quali siano precisamente le proiezioni della collettività e su quali figure si vadano a incarnare; si procede per tentativi e induzioni. Certamente è stata la situazione economica e sociale del Paese a richiedere un cambio di stile rassicurante, ma stile è un termine che ci porta immediatamente in campo estetico. Monti ha avuto il merito di capire che questo gioco estetico deve essere giocato: il suo ruolo di premier non poteva prescindere dalla costruzione del personaggio carismatico che era chiamato a interpretare.
Tra i suoi primi atti spiccano le partecipazioni a famosi salotti Tv come Porta a porta e Che tempo che fa. Attaccato da molti per essere andato a darsi in pasto all’infotainment, Monti è riuscito invece a dimostrare di poter reggere il gioco da protagonista. Evitare la comunicazione mainstream, sarebbe stato un grave errore poiché è in quelle trasmissioni che molti si formano una rappresentazione del potere. Inoltre, se un politico si dimostra non in grado di gestire la situazione, i grandi anchorman diventano i tutori del suo ruolo. Nelle due trasmissioni, Monti ha potuto dimostrare, con piccole frecciate ai conduttori, di essere lui il garante del suo personaggio, indipendente dall’investitura di pur volenterosi kingmaker. Il gioco di sponda ha chiamato in causa direttamente la complicità del pubblico, non Vespa o Fazio come mediatori, esattamente come è accaduto con la famosa e ironica risposta all’interrogazione di Calderoli sulla cena di Capodanno a Palazzo Chigi.
L’avvicendamento Berlusconi-Monti ci sta dimostrando che come non può esistere un vuoto di potere, non può neppure esistere un vuoto di immagini del potere.
Indice delle cose notevoli:
*Un mese dopo la parodia di Monti è già meno robotica, il personaggio comincia a mostrare qualche qualità “seduttiva”.
*Monti a Porta a porta, «Non sono qui per fare piacere a lei»
*Monti “esamina” Fazio a Che tempo che fa, «Lei è preparatissimo… »
*La nota ironica sul Capodanno rivolta all’onorevole Calderoli