La Russia è parte d’Europa, appartiene all’Asia o forma un ponte tra i due continenti? Da quando esiste un’opinione pubblica la questione in Russia è segnata da emozioni e affermazioni controverse. Letteratura, musica, religione, politica, economia, sono prismi attraverso i quali i rapporti russo-europei hanno sfaccettature a volte completamente diverse.
In Russia la polemica si lega inoltre al dibattito sull’autocoscienza nazionale. Il paese fa parte della civiltà continentale oppure costituisce un cosmo separato, grande e potente da essere sempre centro e mai periferia? Un rebus che ha spesso messo in difficoltà anche i dirigenti politici del paese.
Un dizionario biografico apparso a Mosca “Gli stranieri nella cultura russa” aiuta a comprendere meglio la questione. Secondo Arkadi Aronov, autore del lavoro e docente all’Università statale della capitale, il volume è il primo tentativo di “delineare” il contributo venuto dagli stranieri allo sviluppo scientifico e artistico della Russia. Attraverso cinquecento personaggi europei attivi nel grande paese slavo e ortodosso Aronov cerca di smontare il pregiudizio “dell’unicità di cultura e politica” nazionale. Gran parte di ciò che appare “tipicamente russo”risale invece all’azione e collaborazione creativa degli immigrati. Sin dal tempo di Ivan III, migliaia di intellettuali, quadri amministrativi, gerarchie militari e imprenditori economici provenivano dalla parte occidentale del continente. Ministri, generali, ammiragli, consiglieri politici, educatori, accademici, erano spesso immigrati al servizio delle bandiere imperiali.
Le origini di queste personalità dicono molto anche degli attuali rapporti europei. Tra i collaboratori degli Zar al primo posto vi erano i tedeschi seguiti da baltici e scandinavi. Subito dopo francesi e italiani e, distanziati di molto, inglesi, scozzesi, ungheresi e cechi. Colpisce il basso numero di polacchi e slavi del sud attivi in Russia. Quasi nullo invece il contributo dato da spagnoli e portoghesi alla vita culturale russa. A differenza di quanto avveniva normalmente in altri stati, in Russia gli stranieri agivano anche in settori, patriottismo e simboli storici della nazione, normalmente riservati alle elite locali. Elaborazione del passato e della sua epica, studio del folklore, catalogazione della flora, esplorazione della Siberia e l’estremo oriente russo hanno ricevuto l’apporto attivo degli immigrati. Con i tedeschi a fare di nuovo la parte del leone negli archivi ma anche direttamente sul campo.
A partire soprattutto dal settecento anche architetti, filosofi, artigiani, militari, medici e diplomatici italiani hanno contribuito allo sviluppo del più grande paese del mondo. I più conosciuti Francesco Bartolomeo Rastrelli, architetto e creatore del l´originale stile barocco-russo. Cesare Beccaria e il suo trattato sull’umanità delle pene col quale ha influenzato la legislazione di due zarine, Elisabetta e Caterina. Giuseppe Garibaldi, mitica figura di liberatore per l’immaginario collettivo russo e conquistatore di intellettuali del livello di Bakunin, Herzen, Tostoj, Mechnikov.
Dimitrij Lichaciov, patriarca della memoria nazionale russa, amava ribadire che i rapporti tra Roma e Mosca sono cosi profondi che un viaggio tra le città italiane dovrebbe simbolicamente concludersi a San Pietroburgo. Una dichiarazione d’amore dovuta a personaggi meno noti ma molto attivi nella vita quotidiana della Russia. Sono stati artigiani come Marco Cinopi, veneziano chiamato a Mosca nell’ultimo decennio del XVII secolo per curare la produzione di tessuti serici, militari come il modenese Filippo Paolucci, comandante delle truppe russe del Caucaso nel 1811 e ricordato da Tolstoj in Guerra e pace, medici come Felice Tadini , primo oculista in Russia ad operare nel ‘400 le cataratte tramite asportazione e Domenico Spedicati, stesso periodo, curatore dello scorbuto senza farmaci, a forgiare i legami tra i due paesi.
Il libro di Aronov permette di inquadrare i rapporti tra Europa e Russia sulla base della pazienza strategica ribadita da Strobe Talbott. Aleksandr Solgenitsin ripeteva spesso che la democrazia russa non sarà mai un calco di quella occidentale. Si può essere certi che Mosca seguirà la propria strada senza dimenticare i caratteri e le radici della propria storia. Sta all’Europa fare lo stesso. Senza dimenticare quanto sottolineato da Andrei Gromyko. Al momento del crollo sovietico il ministro degli esteri di Mosca ricordava l’importanza della presenza di un avversario di livello per lo sviluppo non solo delle nazioni ma anche delle rispettive opinioni pubbliche. Finita la guerra fredda e caratterizzati i rapporti tra le due istituzioni europee da scambi, economici ma anche umani, l’Ue deve sapere che il rispetto, soprattutto nei rapporti con il Cremlino, nasce sempre dal carattere. Un qualità che Bruxelles dovrà cercare nel proprio passato e nel pensiero umano, filosofico e religioso che ha reso grande il continente. Proprio come la Russia che perciònon dimentica quanto importante sia stato l´apporto europeo alla propria civiltà.