Eravamo bambini quando il volto di Hugo Chávez è entrato nelle case venezuelane (attraverso lo schermo della tv) per non uscirne più. Era l’alba del 4 febbraio del 1992 e lui, vestito da militare, aveva appena fallito un colpo di Stato contro il presidente Carlos Andrés Pérez. La gestione de “El Gocho”, come veniva chiamato Pérez per le sue origini andine, era pessima. Corruzione, abuso di potere, inflazione, mediocrità erano il pane quotidiano. Ma Pérez era stato democraticamente eletto e, sempre per via elettorale, doveva essere rimosso dal potere. Eravamo bambini quando ci ha svegliato l’immagine di carri armati senza freni che provavano ad entrare in maniera violenta al palazzo di governo. Senza riuscirci.
Dopo, Chávez ha usato un’altra strategia, quella politica, e al potere è arrivato nel 1999. Con il voto. È successo di tutto in questi anni. E l’immagine dell’ex militare golpista è rimasta sempre lì. Con un discorso aggressivo, tagliante, scontroso per chi lo critica. Seduttivo, efficace, reale per chi lo ama. Non c’è una terza possibilità, purtroppo. Alcune poche (e rare) volte ha invocato il dialogo come formula per la riconciliazione. Ma mai ha mantenuto questo atteggiamento per governare il Venezuela. Il progetto del Socialismo del XXI secolo di Chávez, però, non ha dato buoni risultati. Il Venezuela non è un paese più ricco, ed è un paese più insicuro. Solo nel 2011 sono morti 18000 venezuelani, uno ogni 30 minuti, a causa della criminalità organizzata. Gli ingressi petroliferi non sono stati investiti in infrastrutture durevoli: ospedali, scuole, università, autostrade. Quello che c’è è stato fatto nell’epoca della dittatura di Marcos Pérez Jiménez. O, peggio, in quei “quarant’anni di corruzione democratica”, come dice sempre Chávez, di cui Carlos Andrés Pérez è stato protagonista.
Dopo vent’anni, il Venezuela dà – a sé stesso – una lezione di grande maturità politica. Per la prima volta nella storia si sono svolte elezioni primarie per scegliere un candidato per le prossime presidenziali del 7 ottobre. L’opposizione era sempre spaccata in diverse frazioni quando era il turno di misurarsi con Chávez. Dalle presidenziali di dicembre del 1998 aveva sempre perso. Ma questa volta ha deciso di scegliere il suo candidato in una consultazione pubblica e la risposta dell’elettorato ha superato le aspettative. Quasi tre milioni di venezuelani hanno partecipato e il vincitore è stato Henrique Capriles Radonski. Con circa 64% dei voti. Secondo è arrivato Pablo Pérez, ex governatore dello Stato Zulia.
Chi è lo sfidante di Chávez?
Classe 1972, Henrique Capriles è un giovane avvocato ed economista, specializzato in materia tributaria. Di origini russo-polacche da parte di madre, olandese da padre, è nato e cresciuto a Caracas. Da quando aveva 20 anni è entrato in politica, fondando il partito Primero Justicia. A 25 anni è stato eletto come deputato, diventando il più giovane ad entrare nel Parlamento venezuelano. È stato sindaco del municipio Baruta di Caracas e due volte governatore dello stato Miranda (otto anni di gestione). Non ha mai perso un’elezione.
Capriles Radonski ha studiato ad Amsterdam, Viterbo e New York, la sua famiglia di soldi ne ha tanti. Imprenditori e investitori, sono senza dubbi benestanti. Ma il candidato ha preso da molto tempo le distanze dal confort della classe alta, instaurando un contatto diretto con tutti i cittadini, da quando ha iniziato a fare politica. Mitica quell’immagine (a confronto) di Capriles con l’acqua fino alla pancia, assistendo quanti furono colpiti dalle piogge della fine del 2010. Mentre il presidente Chávez è arrivato con l’elicottero.
Per Victor Hugo Amaya, giornalista del quotidiano terzista “Tal Cual” e conduttore di radio, la vittoria di Capriles è un buon punto di partenza. “È evidente che il paese non vuole radicalismo. Ha vinto il suo discorso moderato. E la sua giovinezza combinata all’esperienza”, sostiene in un’intervista per “Formiche”.
Ricorda che il giovane caraqueño è un vero fenomeno elettorale: non ha mai perso un’elezione, mentre Chávez sì, subendo il fallimento di tre elezioni in cui non era candidato ma il chavismo è comunque uscito sconfitto (referendum, regionali e legislative di 2007, 2008 e 2010). “La campagna ha mantenuto la sua strategia e la sua forma. Non è cambiata nel cammino e per questo appare solida. Bisogna vedere adesso se è capace di prendere anche una fetta dall’elettorato chavista e degli indipendenti, che avranno nelle prossime elezioni presidenziali l’ultima parola. E potranno essere sedotti ancora dal chavismo”, spiega Amaya.
Come sarà la tattica difensiva di Chávez? Reggerà questi sette mesi di campagna, dopo essere guarito di cancro? E con quali dei pochi alleati interni che gli rimangono riuscirà a preparare il nuovo programma per il paese? La strada per Capriles è tutta in salita e comincia (sul serio) soltanto adesso. Ma la vera sfida sarà per i venezuelani: dare una boccata d’aria nuova alla democrazia e interrompere vent’anni di egemonia chavista.