Skip to main content

I miracoli non si ripetono

Si ripeterà quello che il critico musicale di The New Yorker, Alex Roos, ha chiamato, nella rassegna di fine anno, “l’evento musicale più importante del 2011”? Il riferimento era alla prima del Nabucco al Teatro dell’Opera di Roma quando Riccardo Muti, prima di bissare (evento già di per sé inusuale) Va pensiero si rivolse al capo dello Stato per chiedere il reintegro del Fondo unico per lo spettacolo (Fus) a supporto della “musa bizzarra e altera”, attributo quanto mai appropriato dato da Herbert Lindeberger all’opera lirica. Sappiamo che anche l’allora ministro dell’Economia e delle finanze, Giulio Tremonti, si recò ad ascoltare il lavoro verdiano concertato da Muti e pronunciò il veni, vidi, capii che comportò un adeguamento del Fus (e un aumento delle accise su alcuni oli minerali).
 
Il 2011 non si è chiuso bene: uno sciopero a oltranza (per l’assunzione di alcuni precari del balletto) ha fatto saltare tutte le repliche dello Schiaccianoci al Teatro Massimo di Palermo, una delle tre fondazioni liriche (su 13) che nel 2010 hanno chiuso i conti con un solido attivo di 1,2 milioni di euro (le altre due, le fondazioni liriche di Roma e Verona, hanno chiuso con saldi attivi di appena 3-4mila euro).
 
I debiti delle 13 fondazioni viaggiano verso i 400 milioni; il sindaco di Firenze sta pensando ad un fondo speciale garantito dalle Cascine, dalla Stazione Leopolda e da altri monumenti per salvare i teatri del Maggio musicale fiorentino il cui debito sfiora i 55 miliardi.
 
Di ardua comprensione il conto economico della Scala: a fronte di un risultato di esercizio con una perdita di circa 6 milioni di euro, “contributi in contro patrimonio erogati nel corso dell’esercizio” coprono il disavanzo e portano ad un risultato finale in attivo per circa 50mila euro. In breve, tutte le fondazioni sono in sofferenza.
 
La situazione non è migliore per quanto riguarda i “teatri di tradizione”, una trentina (precisamente 28) di solito in città oggi di media importanza, ma che in passato furono capitali di granducati, ducati, pure regni. Sono localizzati principalmente al nord (il 61% del totale), il 25% è al centro, il 14% al sud e nelle isole. Sono finanziati principalmente dagli enti locali (gravano sul Fus unicamente per il 4% circa del totale del fondo). Le risorse statali sono meno della metà del finanziamento complessivo. Le imprese dell’area forniscono mediamente il 24% delle risorse complessive per il loro funzionamento.
 
Un’analisi dettagliata di un campione di dieci “teatri di tradizione” condotta dalla Università Bocconi ne loda, in linea di massima, la gestione evidenziando in particolare gli effetti positivi dei “circuiti” creati (non necessariamente su base regionale) per dividere i costi di produzione degli allestimenti. La loro situazione debitoria è sempre stata sotto controllo (con alcune eccezioni – ad esempio, il Teatro Massimo di Catania, ora in via di risanamento). I costi degli spettacoli sono contenuti. Tuttavia, la scure sulla finanza locale fa sì che non potranno contare per diversi anni su quella che è stata la loro principale fonte di sostegno. Gli effetti della recessione su molte aziende (specialmente sulle piccole e medie imprese) mettono a repentaglio l’altro maggiore canale finanziario. Anche per “i teatri di tradizione” le prospettive sono sobrie, ove non meste.
 
Lo studio dell’Università Bocconi mette in evidenza varie aree in cui la cooperazione tra “teatri di tradizione” può migliorare. Molte di queste aree riguardano anche le fondazioni liriche. La stagione delle vacche magre è destinata a durare a lungo. Non la si risolve né con piagnistei né con cartelloni (come avviene in gran misura quest’anno) che puntano tutti su titoli “sicuri” (Bohème, Traviata, Butterfly). Tra le proposte da considerare c’è urgenza di una maggiore apertura verso i giovani (sia artisti sia pubblico), puntando anche su innovazioni a costi contenuti.
Altrimenti, la “musa bizzarra e altera” rischia di impallidire sino a sfiorire.


×

Iscriviti alla newsletter