Lunedì mattina, la settimana di Sanremo si è conclusa e la casalinga di Voghera va a fare la spesa. Entra nel supermercato e nota la comare Teresa che si dirige verso il banco frigo. I loro carrelli si scontrano tra gli scaffali e iniziano a commentare il dopo-Festival. Signora ma l’ha vista la farfalla? – Quale farfalla? – Ma come, quella della Belèn. Uno scandalo! – No, ma io c’ho la cataratta, piuttosto lei, ha notato che hanno vinto tre donne. Prima Emma – Chi? – Emma Marrone, l’amica di Maria De Filippi, pensi che Pupo l’aveva predetto nel suo libro, chiamandola G-emma “Celeste”, ma poi la Rizzoli l’ha censurato – Mamma mia, che storia – E poi, signora Teresa, ha visto quel Vittorio Cosma, che volgare, all’Ariston senza cravatta e con la maglietta della salute sotto la camicia – Chi? – Vittorio Cosma, il maestro d’orchesta di Samuele Bersani – Chi? – Samuele Bersani, il cantante con le scarpette da calcio – No, guardi, non li conosco – Teresa, ma l’hai visto il Festival si o no?
… Io l’ho visto il Festival e ho trovato ispirazione dalle canzoni dei vincitori per analizzare un dato inusuale. Non canzoni d’amore, bensì le canzoni “impegnate” hanno vinto. Il premio della critica “Mia Martini” è andato al testo di “Un pallone”, canzone di Samuele Bersani, il cui ritornello fa: “Ci vuole molto coraggio a rotolare giù / in un contesto vigliacco che non si muove più / E a mantenere la calma adesso / Per non sentirsi un pallone perso / Ci vuole molto coraggio a ricercare la Felicità / in un miraggio che presto svanirà / E a mantenere la calma adesso / Per non sentirsi un pallone perso.
Una poesia piena di figure retoriche, che parla dell’Italia identificata metaforicamente con un pallone, che è fermo, bloccato, non si muove, e non ha il coraggio di andare avanti, come il nostro Paese. E che rischia di restare isolato. Di perdersi. Il contesto vigliacco è la società in cui viviamo e l’invito, quindi, ad avere coraggio e rimettersi in marcia, è rivolto a tutti noi.
Senza metafore invece, è la canzone vincitrice del Festival di Sanremo 2012, di Silvestre-Sala-Palmosi, con l’ausilio tecnico del maestro Pino Perris, “Non è l’inferno”. Canta: Emma.
Parafrasando le strofe più significative della canzone in oggetto si comprende come un uomo, italiano, che ha servito la patria, e sta affrontando difficoltà in seguito alla crisi economica, e si rifugia nella fede, e crede nel bene e nel futuro. Ma chiede altresì ai suoi governanti cosa deve fare per ovviare a queste problematiche. Come può aiutare il figlio, ad esempio, che non trova lavoro, che ha trent’anni e vorrebbe sposarsi, e diventare a sua volta padre, ma non può permetterselo, in questa condizione. Ma allo stesso tempo la canzone trasmette un messaggio di speranza, dicendo che qui, in Italia, non è l’inferno e bisogna essere fiduciosi nel futuro e credere nei sogni.
Al di là dei luoghi comuni che sentiamo al supermercato e che provengono dalla bocca della casalinga di Voghera, io sono molto felice che abbia vinto questa interprete, rappresentante di una nuova generazione di artisti impegnati. Dopo Roberto Vecchioni, vince Emma. Certo, Mario Luzzato Fegiz non avrà gioito di questa proclamazione, ma lui ha anche 65 anni, ha più anni del Festival, e come critico musicale ha anche fatto il suo tempo. Ora tocca ai giovani parlare. Tocca a noi “cantare”. Quindi brava Emma. Vi lascio con il ritornello della sua canzone, dal titolo “Non è l’inferno”: Se tu hai coscienza / guidi e credi nel paese / dimmi cosa devo fare per pagarmi da mangiare / per pagarmi dove stare / dimmi che cosa devo fare / No, questo no, non è l’inferno / ma non comprendo com’è possibile pensare che sia più facile morire / No, non lo pretendo / ma ho ancora il sogno /che tu mi ascolti e non rimangano parole.