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Posto fisso o flessibile? La storia di un (giovane) ristoratore

Io non sono tra i discepoli del posto fisso. E personalmente lo trovo “noioso”. Ora tutti mi attaccheranno, ma fatemi spiegare. Io il posto fisso lo rispetto. Ammiro chi aspira al posto fisso. E lo capisco. Lo capisco perché l’Italia non è l’America. In Italia l’economia non gira e le opportunità sono quantitativamente inferiori. Quindi un ragazzo sogna di svolgere le stesse mansioni, sulla stessa scrivania, per quarant’anni. Ed è per questo motivo che in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è superiore al 27% e il 46% dei giovani tra i 16 e i 25 anni che lavorano, hanno un impiego temporaneo. Precario. Ed è per questo che a Chieti sta per aprire un Centro Ikea, e per 200 posti di lavoro disponibili si presentano in 35mila. E quindi ognuno si ingegna come può. Me compreso.
 
In questi giorni ho incontrato un ragazzo, di 29 anni. Sfigato, direte voi. Bamboccione parcheggiato all’Università. Senza stimoli né obiettivi. No, al contrario. Laureato, che ha deciso di intraprendere una strada difficile: quella imprenditoriale. Rappresenta l’altra faccia della medaglia della nostra generazione. Quella che non si arrende, che si impegna. Quella che non resta a guardare. Quella che non lancia il sasso e nasconde la mano. Quella che ci mette la faccia, con coraggio e convinzione. Fa il ristoratore. Mi racconta:
 
“Ho saputo che con la Manovra Monti, ora, tutti i giovani di età compresa tra i 18 ed i 35 anni possono mettere in piedi una Srl senza spese di notaio, perché sarà il commercialista che curerà la creazione della società, ma sopratutto non dovranno versare il capitale sociale e basterà un solo euro di fondo cassa. Bene. Questi sono piccoli strumenti che agevolano la nascita delle imprese, ma i problemi in Italia sono altri: il costo del lavoro, una tassazione iniqua, le materie prime, l´energia elettrica, e senza una adeguata riforma del mercato del lavoro è difficile restare sul mercato in maniera regolare”.
 
Parliamo dell’inizio della tua attività.
“Prima di questa Manovra, avviare una qualsiasi azienda aveva un costo iniziale che molti altri coetanei europei non sostengono. Io, per la costituzione di una società a responsabilità limitata (Srl), il primo obbligo di natura economica che ho dovuto affrontare è stato il deposito del capitale sociale, non meno di 10.000 euro, poi le spese di registrazione dal notaio, circa 2.500 euro. Quindi solo per l´idea imprenditoriale ho dovuto sborsare 12.500 euro, prima ancora di iniziare”.
 
Serve una licenza?
“Allora, un altro strumento a favore dei “giovani” imprenditori è senza dubbio rappresentato dalla liberalizzazione del mercato, perché fino a qualche anno fa l´ingresso nel mercato della ristorazione era legato all´acquisto della licenza, ceduta a caro prezzo dai titolari, una sorta di carissima buona uscita.
 
E per il locale?
“Oggi è necessario avere un locale a norma dal punto di vista igienico sanitario, e nel caso specifico della ristorazione o somministrazione di prodotti è necessario avere un titolo di abilitazione, l´ex R.E.C. (Registro Esercenti in Commercio), che adesso non esiste più”.
 
Poniamo il caso di un ristorante stagionale di medie dimensioni come il tuo. Quali sono le maggiori spese di gestione?
“Il sistema attuale prevede una contribuzione annuale (Inps) per i soci, pur lavorando solo per 5/6 mesi, di circa 3.000 euro l´anno, per un contribuente minimo Inps. Le bollette di fornitura energetica vengono comunque emesse e pagate, e incidono in media, a seconda dell´attività, per circa 8/9mila euro l´anno. Poi c’è il costo dello smaltimento dei rifiuti, che rappresenta una voce di costo di circa 2.000 euro l´anno. E poi ci sarebbe il costo dell’affitto del locale. Circa 2/3mila euro al mese, che moltiplicato per sei mesi fanno circa 15mila euro al mese”.
 
Quindi il Piano di fattibilità parte con una voce “spese fisse” di circa 30/35mila euro. E i dipendenti?
“I dipendenti costano mediamente al datore di lavoro il 40% dello stipendio dichiarato in busta paga al momento della firma del contratto. E poi c’è l´Iva, che dal secondo semestre 2012 salirà di ulteriori due punti percentuali e arriverà al 23%, è un altro scoglio che ridimensiona il potenziale guadagno delle imprese”.
 
E poi?
“Infine ci sono le materie prime, che subiscono variazioni di prezzo a seconda delle stagioni e della quantità. Il caffè, ad esempio, nell´ultimo anno è aumentato del 12/14% alla fonte, la farina ha avuto rincari vicini al 16%, il pesce, a seconda delle stagioni, varia di prezzo in maniera considerevole”.
 
Parliamo del pesce.
“Gran parte del pescato dei ristoranti è di allevamento, italiano o estero. Quello del pesce è un mercato globale che permette di avere sulle nostre tavole ed in tutti i periodi dell´anno pesce di stagione (astici, di provenienza nord-africana o dal Canada, tonni dal Giappone, calamari e seppie dall´Australia o dalla Spagna).
Il costo del pesce lievita a seconda della richiesta (il tonno in inverno oscilla tra i 6/8 euro al Kg in estate arriva fino a 14/16 euro al Kg), i pesci che possono essere surgelati tipo seppie, calamari, gamberoni, vengono acquistati in periodi di bassa richiesta e rivenduti nei momenti caldi con notevoli plusvalenze. Con una politica di prezzo medio che si attesta intorno ai 25 euro, bevande escluse, un ristorante “stagionale” riesce a “sfornare” circa 3/4mila pasti nell´arco dei 6 mesi di attività. Un introito interessante se si sommano i dati. Ma a tale dato finale devono essere sottratti i costi: materie prime, dipendenti, tasse, spese di gestione straordinarie e il raggiungimento del pareggio di bilancio è sempre un’incognita”.
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