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Privatizzazioni, Mosca rallenta la corsa

Segna il passo il piano di privatizzazione delle aziende di stato annunciato oltre un anno fa dal governo russo. Dopo i “selvaggi” anni ’90, quando la vendita del patrimonio pubblico era stata definita dalla voce popolare prikhvatizatsiya, arraffa più che puoi , il paese diffida vedendo in ogni annuncio di liquidazione dei giganti dell’economia federale la svendita delle ricchezze nazionali. Cosi è successo anche nell’autunno 2009 quando l´allora vice premier Igor Shuvalov ha sottolineato la necessità di una nuova ondata di dismissioni. Un tentativo di far dimenticare gli eccessi degli anni ’90 si era già avuto nel 2006 e 2007 con le offerte pubbliche di vendite dell’azienda petrolifera Rosneft e la banca Vtb. Con risultati non certo esaltanti. Vtb raccoglieva 8 miliardi di dollari ma il controllo del primo istituto russo restava saldamente, 85,5%, nelle mani dello stato. Quattro anni dopo un altro 10% di della banca passava in mani private. Ancora più macchinoso il processo di privatizzazione di Rosneft, le cui azioni continuano a portano il marchio della controversia legata all’acquisizione Yukos.
 
25 miliardi di dollari ma il governo è diviso
 
Nell’estate 2010 il ministero dello sviluppo economico metteva le carte in tavola e sottolineava il valore dell’operazione: un incasso di circa 25 miliardi di dollari per il tesoro federale tra il 2012 e il 2016. Una somma che servirà a riprendere il controllo sul deficit federale. Secondo stime fatte dall’ex ministro delle finanze Kudrin, il disavanzo statale, al 4 percento nel 2011, dovrebbe scendere di un punto l’anno fino a raggiungere il 2% entro il 2013. Una road map finanziaria per l’equilibrio di bilancio da raggiungere entro l’anno fiscale 2015. Il prezzo da pagare? Uscire completamente o vendere i pacchetti di maggioranza di aziende non ritenute strategicamente vitali o indispensabili alla sicurezza nazionale. Senza però abbandonare al proprio destino le infrastrutture dismesse. Una golden share temporanea sarebbe poi il mezzo con cui il Cremlino potrebbe continuare a dire la sua almeno nelle prime fasi del processo. Nomi importanti nella lista delle aziende che cambieranno status. Giganti petroliferi come Rosneft e Transneft, il produttore d’elettricità Rushydro, le banche VTB et Sberbank, l’istituto agricolo Rosselkhozbank, la compagnia aerea Aeroflot e quella di trasporti maritimi Sovkomflot, l´agenzia di credito ipotecario AIJK. Un elenco in attesa della parola finale dell’esecutivo russo.
L’opposizione al progetto non viene però solo dalla diffidenza popolare. E nemmeno dalla dura reazione di chi vede messi in discussione i propri interessi. Esemplare la reazione del nuovo responsabile del consiglio di amministrazione di Rosneft, Alexander Nekipelov, che ha definito strategica la propria azienda tentando di porre il veto alla privatizzazione. O quanto detto dal leader di Aeroflot. Vitalij Saveliev ha avvertito che il piano sulla compagnia di bandiera russa va rinviato e ripensato. Anche il governo federale è lacerato da contestazioni potenti. È il ministero dell’energia, o meglio la sua eminenza grigia Igor Sechin, a mettere in discussione dimensioni, tempi ed efficacia economica della manovra sui giganti degli idrocarburi nazionali. La dialettica interna all’esecutivo federale è cosi forte da aver spinto il ministero dello sviluppo economico a rivolgersi a Putin. Elena Naibbiullina, titolare del dicastero che più di tutti punta ad aprire ai capitali privati, afferma senza mezzi termini che il vice premier è lo scoglio su cui le privatizzazioni energetiche potrebbero infrangersi. Secondo il ministro, Transneft, Rosneft e Sarubezhneft, devono entrare nella lista delle aziende da dismettere. Questo non significa che le tre compagnie saranno vendute a occhi chiusi. Quando, a chi, come e a quanto avverrà la cessione, sarà un passo che l’esecutivo farà stimando attentamente le proposte delle banche di investimenti. Indispensabile però iniziare le procedure preliminari di vendita. È il segnale atteso dal business internazionale per capire che Mosca vuole creare quel clima maggiormente propizio agli investimenti di cui il paese ha urgente necessità.
 
Putin contro Sechin?
 
Il passo di rivolgersi al premier è stato conseguenza di mesi di discussioni che hanno coinvolto anche Dimitry Medvedev. Il presidente federale all’ultimo forum economico di San Pietroburgo ha ribadito “necessario rinunciare ai pacchetti di blocco e di veto posseduti dallo stato dentro le maggiori compagnie del paese”. L’opposizione di Sechin a questa strategia è stata sempre implacabile. Tipo delle aziende da privatizzare. Quantità delle azioni da lasciare in mano statale. Prezzo a cui gli asset devono andare sul mercato. Ripercussioni sul budget federale. Il vice premier vuole rimettere tutto in discussione. Finora la stampa internazionale ha stranamente tralasciato il caso. Eppure si tratta di una lotta interna alle elite della Federazione che dopo le elezioni presidenziali potrebbe venire più allo scoperto. Il sicuro futuro presidente sembra infatti essere del parere che sia venuto il momento di aprire la collana dei gioielli russi al capitale privato, interno o estero che sia.
Quali i motivi per cui Putin questa volta prende le parti delle fazioni più liberali dell’esecutivo? La risposta è ovvia. La gestione statale di molte aziende è fiscalmente inefficiente e ha bisogno di nuovi investimenti. A due decenni dalla fine dell’Urss queste compagnie si sono trasformate in vere “regine di sottogoverno” sempre più dipendenti della mammella pubblica per coprire le proprie inefficienze. Finora Gazprom è rimasta fuori da questo tiro alla fune tra fazioni governative, manager pubblici e scetticismo popolare. Ma non è detto che sarà sempre cosi. La pensa diversamente Igor Artemev, ex membro della commissione governativa per le questioni energetiche e gli idrocarburi. In una intervista al giornale intergovernativo Rossiskaja Gazeta dello scorso 14 febbraio il manager, membro anche del servizio anti monopolio russo, ribadisce di ritenere indispensabile la riforma del colosso del gas russo. Il progetto di Artemev prevede “entro 5-7 anni” la separazione tra i “gasdotti che restano di proprietà dello stato” e l’estrazione che invece dovrebbe “spettare al business”. Lo scopo? Mettere fine a sprechi e inefficienze di Gazprom afferma l’analista energetico. Se davvero sarà cosi la Russia non sarebbe di fronte solo a una riforma ma a una vera rivoluzione copernicana. Difficile che questo possa avvenire in “5 o 7 anni”. Ma non si può mai dire. Da qualche tempo la Russia è piuttosto propensa a sorprendere.

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