Nonostante la crescente pressione internazionale la Russia non sembra disposta ad abbandonare la Siria. Sergej Lavrov ministro degli esteri federale, a differenza dei propri colleghi arabi e occidentali, non ha preso parte alla seduta del consiglio di sicurezza Onu che doveva preparare la risoluzione sul conflitto interno al paese mediorientale. Secondo il capo della diplomazia russa Mosca non sarebbe “ne amico ne alleato” di Assad. “L’Onu non dovrebbe però chiedere mai le dimissioni di un capo di stato o di governo” ha ribadito Lavrov sottolineando una costante della politica estera del paese.
Le esitazioni di Mosca risentono di quanto avvenuto la scorsa primavera con la risoluzione libica che, secondo il Cremlino, non prevedeva l’intervento armato nel paese africano. Il Cremlino comincia però a temere il rischio di infilarsi in un vicolo cieco. Da qui i tentativi di trovare una via d’uscita dall’impasse siriano. Indispensabile secondo Mosca che l’opposizione siriana garantisca parte degli interessi che la Russia gode nel paese mediorientale dai tempi sovietici. La bocciatura da parte dei ribelli della proposta russa di tenere un tavolo di intermediazione va invece nella direzione contraria a quanto auspicato dalla Federazione. Mosca sa che comunque non potrà restare a lungo con le mani in mano. Ieri il vice di Lavrov ribadendo che “nei prossimi giorni il Consiglio di sicurezza non voterà risoluzioni sulla Siria” ha fatto presente che il suo paese è pronto a trattare i presupposti del progetto arabo-europeo.
Non è solo la suspense legata all’esito delle elezioni presidenziali del 4 marzo, la possibilità del ballottaggio per decidere il prossimo presidente federale è considerata dallo stesso Putin, a rendere incerta l’azione del Cremlino. La retorica antioccidentale che il presidente Putin diffonde a volte in maniera strumentale trova terreno fertile nella politica interna del paese. Sul giornale governativo Rossiskaja Gazeta, il presidente della Corte costituzionale federale, Valery Sorin, ha chiesto ai rappresentanti degli strati sociali che nelle grandi città stanno manifestando contro il capo del governo se, secondo il modello libico, hanno intenzione di appellarsi al consiglio di Sicurezza e chiedere l’aiuto Nato.
Posizioni che chiariscono come la pensa l’opinione pubblica schierata con a favore dell’attuale primo ministro nel caso Putin dovesse scaricare il presidente siriano, principale partner mediorientale di Mosca. Non solo nel settore militare ma anche in quelli commerciale ed energetico Russia e Siria vanno a braccetto. Nel 2010 infatti il livello complessivo degli investimenti russi nel paese mediorientale è stato di 19,4 miliardi di dollari. L’ azienda energetica federale Strojtransgas è attiva nel campo degli impianti per la lavorazione dell’oro azzurro. Lo stesso fa per il petrolio Tatneft, in joint-venture con Damasco. La Siria è inoltre il terzo mercato di sbocco di armi federali dopo India e Algeria. Il porto di Tartus, base dove le navi da guerra di Mosca che solcano l’Oceano pacifico possono essere rifornite, è l’unico punto per i rifornimenti alla marina militare russa fuori dello spazio post-sovietico. Il simbolo per Mosca il del “ritorno” russo in Medio oriente e nord Africa. Su nessuno di questi importanti dossier l’opposizione siriana sembra pronta al compromesso.
Dal punto di vista geopolitico l’attuale politica di Assad è, insieme a quella del regime iraniano unico vero partner di Damasco, funzionale al progetto russo di creare un contrappeso al dominio americano nella regione. Ovviamente le elite federale sanno che continuare a sostenere ciecamente Assad discrediterebbe Mosca agli occhi di molte capitali arabe. Fjedor Ljukaanov mette però in guardia il proprio paese. Si sa cosa si ottiene dai vecchi amici mentre è ignoto quello che i nuovi potrebbero concedere a fatto presente l’analista, uno tra i più competenti specialisti di politica estera russi. L’esempio del Qatar viene a proposito. Stato arabo tra i più determinati a chiedere l’intervento in Siria, difficilmente può essere visto come un potenziale alleato di Mosca. E nemmeno come un partner commerciale della Federazione visto il risibile volume degli scambi tra i due paesi, 25 milioni di dollari l’anno. Lo stesso si può dire per la cosiddetta “Opec del gas” fondata quattro anni fa da Mosca insieme a Qatar, Iran e altri stati ma rimasta da allora sulla carta. Anche la collaborazione tra i due paesi sul gas liquefatto ha smesso di fare notizia. I rapporti politico-economici tenuti da Mosca con l’Arabia Saudita viaggiano su binari identici. Le importazioni russe da Riad rappresentano lo 0,02 percento di tutto il volume commerciale del Cremlino, le esportazioni lo 0,06 percento. Comprensibile dunque la prudenza federale che prima di mollare Assad si giocherà tutte le carte a disposizione.