Il problema numero uno di Vladimir Putin? Come far uscire di scena Bachar el-Assad senza perdere la Siria. Un rompicapo per la diplomazia russa che nonostante la crescente pressione internazionale non intende ancora abbandonare al suo destino l’ex uomo forte di Damasco. Da venerdì scorso tutti i tentativi Onu di affrontare la crisi siriana sono stati bloccati dalla resistenza cinese ma soprattutto da quella di Mosca. L’ultima discussione riguarda il piano predisposto la settimana scorsa dalla Lega araba. Il testo limato fino all’ultimo per superare le perplessità russe chiede “fine immediata delle violenze nel Paese mediorientale e riforme democratiche” senza escludere la rinuncia al potere di Assad.
“Abbiamo una bozza” ha sottolineato stanotte dopo quattro ore di sessione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza il rappresentante russo all’Onu. Vitalij Churkov attende ora le decisioni della propria capitale dove l’accordo è stato immediatamente inviato. In precedenza dalla tappa australiana del suo tour asiatico, il capo della diplomazia federale aveva ribadito che Mosca non è “amica o alleata” di Assad”. Sergej Lavrov sottolineando una costante della politica estera russa avverte però che “l’Onu non deve chiedere mai le dimissioni di un capo di stato o di governo”.
Sulla posizione russa pesa quanto avvenuto la scorsa primavera con la risoluzione sulla Libia. Secondo il Cremlino l’intervento armato nel Paese africano è avvenuto in spregio alla norma cui la Russia astenendosi aveva dato via libera.
I dirigenti federale temono di trovarsi in un vicolo cieco nel caso in cui a Damasco il livello della guerra civile superi i livelli di guardia. Da qui la volontà di trovare una via d’uscita dall’imbuto siriano senza cedere gli interessi del Paese. La bocciatura dei ribelli siriani della proposta russa di tenere un tavolo di intermediazione va invece nella direzione contraria a quanto auspicato. Difficile comunque restare a lungo con le mani in mano. Due giorni fa il vice ministro degli esteri Gennadi Gatilov, aveva fatto presente che il suo Paese non negava i presupposti del piano di pace arabo. L’incertezza sull’esito delle elezioni presidenziali complica ulteriormente lo spazio di manovra russo. Ieri la possibilità del ballottaggio dopo il primo turno del 4 marzo è stata ammessa anche da Putin. La retorica antioccidentale diffusa a volte in maniera strumentale dal primo ministro trova terreno fertile nella politica interna del paese. E complica il puzzle arabo.
Sul giornale governativo Rossiskaja Gazeta il presidente della Corte costituzionale federale Valery Sorin, ha ritenuto opportuno chiedere ai rappresentanti di chi nelle grandi città sta manifestando contro il capo del governo se anche loro ritengono possibile appellarsi al consiglio di Sicurezza per ricevere chiedere l’aiuto Nato. Con simili posizioni si capisce perché alla fine l’opinione pubblica schierata a favore dell’attuale capo del governo non capirebbe i motivi alla base dell’abbandono di Assad. In fondo Damasco è il principale partner mediorientale di Mosca. Non solo nel settore militare, ma anche in quelli commerciale ed energetico, Russia e Siria vanno a braccetto.
Nel 2010 il livello complessivo degli investimenti russi nel Paese mediorientale era pari a 19,4 miliardi di dollari. L´azienda energetica russa Strojtransgas svolge la parte del leone nella costruzione di impianti per la lavorazione del gas. Lo stesso fa per il petrolio Tatneft, in joint-venture con Damasco. La Siria, dopo India e Algeria, è il terzo mercato per l’industria delle armi russe. Il porto di Tartus, base dove le navi da guerra di Mosca che solcano l’Oceano pacifico possono essere rifornite, è l’unico punto di rifornimento per la marina militare federale al di fuori dello spazio post-sovietico. Un porto amico ma soprattutto un simbolo del “ritorno” russo in Medio oriente e nord Africa. Indispensabile dunque che l’opposizione siriana non trascuri volumi di interessi e tradizioni che risalgono ai tempi sovietici. I ribelli non sembrano invece disposti al compromesso.
Dal punto di vista geopolitico la politica di Assad, insieme a quella iraniana, è funzionale al progetto russo di creare un contrappeso al dominio americano nella regione. Naturalmente nessuno nega che continuare a sostenere Damasco fino all’estremo significherebbe screditarsi di fronte a molte capitali arabe. Secondo Fjedor Ljukanov servirà molta attenzione. Si sa cosa danno i vecchi amici mentre è ignoto quello che i nuovi potrebbero concedere ha messo in guardia l’analista tra i più accreditati nella politica estera del paese. Il Qatar può valere come esempio. Stato arabo tra i più determinati a chiedere l’intervento in Siria difficilmente può essere visto come un potenziale alleato di Mosca. E nemmeno come un partner commerciale visto il risibile volume degli scambi, 25 milioni di dollari l’anno, tra i due Stati.
Lo stesso si può dire per la cosiddetta “Opec del gas” fondata quattro anni fa da Mosca insieme a Qatar, Iran e altri stati ma rimasta da allora sulla carta. Nemmeno la collaborazione sul gas liquefatto fa più notizia. Anche i rapporti politico-economici con l’altro attore ineliminabile del nodo siriano, l’Arabia Saudita, viaggiano su binari identici. Le importazioni russe da Riad rappresentano lo 0,02% di tutto il volume commerciale del Cremlino, le esportazioni lo 0,06. Comprensibile dunque la prudenza federale. Si apre oggi a Monaco l’annuale conferenza sulla sicurezza internazionale. Si può essere certi che il dossier siriano sarà anche li all’ordine del giorno. A differenza di quanto avvenuto all’Onu il ministro degli esteri russo ha fatto sapere che non si negherà all’incontro con Hillary Clinton. In occasioni di questo tipo “io e il segretario di stato ci confrontiamo sempre” ha ammesso Lavrov. Nella capitale bavarese Mosca scoprirà le proprie carte russe oppure bisognerà aspettare il 4 marzo?
La notizia sul Financial Times