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Dare a Verdi quel che è di Verdi!

“Passata la Festa, gabbato il Santo”, dice un vecchio proverbio. Sta accadendo pure a Giuseppe Verdi. In occasione dei 150 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia, tanto si è detto e scritto sul maestro di Busseto, nonostante qualche birichino abbia ricordato, sul trimestrale La nuova antologia, che il buon Peppino ha partecipato con distacco al movimento di unità nazionale e composto un’unica opera risorgimentale – La battaglia di Legnano. In un bel libro del 1980, Teodoro Celli, compositore e critico musicale per decenni di uno dei maggiori quotidiani, include soltanto Verdi accanto a Richard Wagner nel Pantheon degli Dei della musica. Gianandrea Gavazzeni amava ripetere che quasi tutte le sere in ogni Paese dove c’è un teatro d’opera si celebra Verdi con la messa in scena di uno dei suoi 27 capolavori.
 
Pochi si accorgono che a Parma il Festival Verdi e quel Teatro Regio, noto in tutto il mondo per la sua acustica e per la severità del suo loggione, stanno passando tempi difficili e rischiano di non alzare il sipario quando nel 2013 in tutto il mondo verranno ricordati i 200 dalla nascita del compositore. Dalla seconda metà del 2005 c’è una squadra che è giunta al Regio dalla Scala con un programma specifico: rappresentare edizioni critiche filologiche dell’integrale di Verdi entro il 2013 e allora presentarle al mondo interno in un cofanetto di Dvd, atteso da tempo dai maggiori canali televisivi che nei cinque continenti si dedicano alla musica “forte” (per distinguerla da quella leggera). Hanno trovato l’appoggio di uno dei più noti direttori d’orchestra Jurij Temirkanov, hanno scovato giovani talenti come Andrea Battistoni, hanno stabilito coproduzioni e collaborazioni con i più importanti teatri europei. Hanno fidelizzato il pubblico italiano e internazionale. Mancano solo cinque opere per completare il programma, un obiettivo realizzabile entro il 2013.
 
Vediamo alcune cifre. Non fa difetto il pubblico. Il Teatro Regio ha una capacità di meno di 1.300 posti; quindi sono stati recuperati altri spazi – dal piccolo Teatro di Busseto al grandioso Teatro Farnese (concepito per feste spettacolari e per la prima volta dopo circa tre secoli riaperto al pubblico). Dal 2007 al 2011, la biglietteria ha sempre portato un milione di euro l’anno al Festival Verdi – e un po’ di meno alla breve stagione lirica d’inverno-primavera (di norma tre opere). Il Festival Verdi si è rivelato un polo di attrazione: il numero degli stranieri all’evento è passato da 4500 nel 2007 a circa 9mila nel 2011, con una ricaduta finanziaria aumentata da 4,3 a circa 8 milioni di euro in spese per soggiorno, ristoranti e acquisti vari. Il Regio non è una fondazione lirica ma un “teatro di tradizione”; quindi, opera con costi fissi contenuti e un organico snello che viene ampliato con contratti a termine o professionali in occasione del Festival.
 
Tenendo conto di questi elementi, la ricaduta complessiva del solo Festival raggiunge una spesa di 13 milioni di euro (incluso l’indotto); soltanto una piccola parte è a carico del bilancio dello Stato e degli Enti locali o di imprese pubbliche finalizzate alla cultura (come Arcus). Dal 2007 a oggi, il bilancio del Festival è stato dimezzato (da circa 6 milioni di euro a meno di 3 milioni di euro) perché è venuto meno non il ricavo dalla biglietteria o il sostegno di sponsor privati ma quello della mano pubblica, specialmente di Arcus “in tutt’altre faccende affaccendato”, citando una nota poesia di Giuseppe Giusti – quella che ha come punto centrale l’universalità della musica verdiana. Basta consultare il Prof. Google per vedere quale tempesta mediatica si è scatenata su Arcus; altri dovranno stabile se alla base della tempesta ci sono fatti di sostanza.
 
Quali che siano le vicende di Arcus, è urgente darsi una mossa e dare a Verdi ciò che spetta a Verdi. Non è solo quello scocciatore di Beckmesser ad essere irritato. Lo sono molti elettori.
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