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Il cambiamento e il crocevia milanese

Anteprima del numero di Aprile di Formiche
 
Il governo di salvezza nazionale che sta cercando di portare l’Italia fuori dalla crisi è tutto a trazione milanese. Oltre al primo ministro, numerosi dicasteri sono retti da personalità che provengono dalle principali istituzioni del capoluogo lombardo, tra cui spiccano l’ex amministratore delegato di Banca Intesa e il rettore dell’Università Cattolica. Se i simboli contano (e certamente contano) il passaggio di testimone da un milanese (Berlusconi) a un altro milanese (Monti) − con tutte le loro differenze di stile e di competenze − segna un cambiamento di fondo. Invece di Mediaset, in campo adesso c’è il Corriere della Sera. E invece del popolo del lavoro autonomo oggi è l’élite economico-finanziaria e culturale di Milano a giocare un ruolo da protagonista.
 
Il Paese torna così a guardare a Milano per trovare la via di una nuova, diversa stagione di modernizzazione. Dopo la Milano da bere e Tangentopoli, dopo l’era televisiva e del divertimento, sono le grandi università private e il mondo economico-finanziario a prospettare la strada per il futuro nazionale.
 
L’azzardo è grande. Il coraggio ammirabile. Perché, se da un lato è chiaro che il Paese da anni si era rischiosamente incamminato lungo una pericolosa china di marginalità, la correzione di rotta è difficile e richiederà determinazione e lungimiranza. Sappiamo che per realizzare un tale passaggio si è dovuto, entro i limiti concessi dalla Costituzione, forzare il sistema politico che annaspava nella ricerca confusa di risposte. Ed è pertanto chiaro che ciò lascia aperta una latenza che, per molti aspetti, costituirà il tema delle prossime elezioni: quanto è grande la polarizzazione antisistemica che rischia di coagularsi nel momento in cui non esiste alcuna corrispondenza tra il governo e i partiti? Lega, Italia dei valori, Movimento cinque stelle, Sel e Rifondazione comunista, oltre alla pletora di liste più o meno civiche che già si annunciano, sapranno interpretare l’ampia base del malcontento e dell’insoddisfazione? Come sempre accade, le elezioni avranno dunque un preciso significato politico, dato che permetteranno di avere un primo risconto sulla tenuta di quella che oggi costituisce il baricentro del sistema politico (Pdl, Pd e Udc) e che di fatto forma una grande alleanza a sostegno del governo tecnico. Oltre che sui rapporti di forza interni. Sul piano politico, il problema è che questa alleanza, nata per pressioni esterne, è tutt’altro che esplicita. Anzi, a livello locale, non esiste proprio. I partiti che sono a sostegno del governo si presenteranno divisi su tutto. Il che significa che le prossime elezioni amministrative si svolgeranno in una situazione del tutto particolare, per alcuni aspetti surreale, con un sistema dei partiti fragilissimo e un’offerta politica inadeguata.
 
E con un corpo elettorale chiamato a una torsione impossibile. In questa situazione, anche i partiti dovranno giocare una partita difficile. È del tutto evidente che sia Pdl sia Pd sono a rischio di lacerazione, dilaniati come sono tra le spinte antisistemiche e le loro responsabilità di governo. Mentre l’Udc dovrà dimostrare di essere più credibile delle sirene antisistemiche. Più che pensare agli equilibri politici − o peggio all’effimero risultato elettorale − vincerà chi avrà il coraggio di non rimanere schiavo dello stretto calcolo politico sapendo guardare al corpo sociale e alle sue lacerazioni.
 
In primo luogo, occorrerà tenere presente che il nord non è Milano. Milano, anzi, è una sorta di eccezione, una differenza. Certo, Milano è il nucleo fondamentale di un vasto sistema economico che oggi va da Torino sino a Padova e da Milano fino a Bologna. E il tessuto diffuso di piccole e medie imprese, che rendono prospera questa area, è ben consapevole che la sua capacità di stare nei processi globali è legata in qualche misura anche a Milano, che continua a costituire l’unico nodo della rete globale di cui quest’area dispone.
 
Ma il problema è capire se e quanto questo sistema di interessi nella sua maggioranza − e non solo nella sua avanguardia − ha davvero voglia, seguendo Monti, di impegnarsi in un nuovo sforzo di modernizzazione. Vi sono segnali deboli che spingono a ritenere che si possa andare in questa direzione, a partire dal livello più che fisiologico di proteste che si sono avute in questi mesi. Ma è chiaro che il voto misurerà la diffusione di questo orientamento.
 
In secondo luogo: le élites. Non ci si deve dimenticare che le élites non sono gli strati popolari. Il punto è importante perché qualunque progetto di futuro passa dalla capacità di tenere insieme i gruppi più dinamici con quelli più lenti, quelli avvantaggiati con quelli svantaggiati. Solo in questo modo diventerà possibile costruire quel consenso senza il quale qualsiasi progetto democratico di sviluppo non può reggere.
 
È su questo terreno che la sfida si giocherà. Tanto più che sia Berlusconi sia la Lega, in questi anni, hanno pescato − soprattutto al nord − proprio nel vasto mondo dell’insoddisfazione sociale, promettendo l’impossibile. E la battaglia sarà molto dura, visto che il vasto arcipelago dei partiti antisistema ha qui il suo terreno ideale di espansione. Tutti sappiamo che il velo della neutralità tecnica non può durare a lungo. Che c’è bisogno, al più presto, che si rassodi una nuova offerta politica in grado di cementare una nuova alleanza sociale in grado di sostenere una nuova stagione di sviluppo. Ma questa nuova offerta ancora non c’è.
 
Come sappiamo, i livelli di fiducia nei partiti sono al minimo storico. Tutto lascia pensare che siamo alla vigilia di un nuovo big bang politico. Come era già accaduto all’inizio degli anni ‘90. Ma, come allora prima della discesa in campo di Berlusconi, ancora non è chiaro chi e come realizzerà questa trasformazione.
 
Le prossime elezioni amministrative non conterranno la risposta a tale aspettativa. Esse, più limitatamente, contengono un rischio − la debacle elettorale delle forze politiche che sostengono il governo − e l’avvio di un nuovo dialogo tra sistema politico e corpo elettorale, premessa di quello che si dovrà fare nei mesi successivi. Speriamo che l’intelligenza degli ultimi mesi trovi conferma anche in questo nuovo delicato passaggio.
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