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La democrazia decidente non è neutra

Il problema non era, dunque, Berlusconi, ma il conservatorismo strutturale di una sinistra senza idee che è ferma agli ideologismi di una società che non c’è più: quella paleo-operaista e rurale.
La riforma del lavoro proposta dal governo Monti costituisce, per l’Italia, una svolta storica. Finisce l’era del posto garantito. Inizia una fase di libertà di lavoro in un mercato che non fa sconti ad alcun tipo di protezionismi, che in sé sono sempre conservatori se non reazionari e liberticidi.
La riforma del lavoro discrimina fra il vecchio sistema di concertazione parassitaria e un nuovo sistema (si spera) di libertà di scelta e di produttività. È resa possibile dall’esigenza, temporanea, di un ministero tecnico che usa la logica piuttosto che la convenienza e l’appartenenza politica.
 
Chi ama la politica non può rifiutare la riforma del lavoro. Che implica anche una riforma dei sistemi di aggregazione degli interessi e delle potenzialità creative dei produttori, compresi gli addetti subordinati alla produzione. Chi ama la politica può semmai dolersi che gli stessi partiti che vanno a dare un sostegno parlamentare al progetto Monti-Fornero, si siano sin qui rivelati incapaci di ricercare intese innovative e non gattopardesche.
Le cronache fotografano il riproporsi di caste irriducibili. Quelle sindacali, più che ostinate nel rifiutare la modernità, paiono più folte, rispetto ai clan politici, quanto a peso specifico e a capacità di bloccare il futuro. Non c’è da rallegrarsene, giacché esse infettano una società troppo avvezza a sentirsi sempre martire e mai responsabile.
Il timore che si tenti di dilatare e ritardare i tempi di discussione della riforma è alto. Il passaggio parlamentare era noto come doveroso già prima delle decisioni governative. Ma in gioco è la credibilità delle istituzioni e quella della classe politica. Sono decenni, ormai, che il compromesso è il massimo consentito. È tempo di pensare politicamente in maniera più virile. La democrazia non può ridursi a subire le prepotenze di gruppi minoritari ultraconservatori anche se si presentano sotto vesti progressiste.
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