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La solitudine dei samurai

Anteprima del numero di aprile di Formiche
 
L’impero del Sol levante sta assaporando la sua fase calante. Ma il Giappone, terza economia del mondo dopo Stati Uniti e Cina, può davvero definirsi al tramonto, oppure ha ancora margini di ripresa, come la sua storia ci ha insegnato? In molti scommettono che ce la farà, nonostante il Paese sia stato messo in ginocchio dal terremoto e dallo tsunami che l’ha colpito l’11 marzo scorso.
 
Una catastrofe ambientale e umanitaria, che ha avuto pesanti ripercussioni anche sulla sfera economica, già fortemente in crisi. Bastano alcuni numeri per capire la gravità in cui versa la situazione del Giappone: 19mila persone sono rimaste uccise durante il sisma e l’onda anomala dell’11 marzo, 325mila i senzatetto. I dati ci dicono che i costi dei danni, tra la ricostruzione delle abitazioni distrutte e quella delle fabbriche e delle infrastrutture, oscilla tra i 235 e i 310 miliardi di dollari. A questo, va aggiunto il fatto che nell’ultimo anno il Pil di Tokyo ha perso circa un punto percentuale, e le somme sono tirate: è crisi profonda.
 
La tragedia del terremoto ha inferto un durissimo colpo alla competitività nipponica e alla sua stessa struttura produttiva. Le esportazioni sono vertiginosamente calate e, allo stesso tempo, le importazioni per la fornitura di energia sono aumentate, dopo che è stata chiusa la centrale nucleare di Fukushima Daiichi, in seguito all’incidente ai suoi reattori e alle conseguenti perdite radioattive in una zona di 30 chilometri attorno alla centrale. Come risultato della fine dell’attività di Fukushima, le importazioni di greggio sono aumentate del 21,3% e quelle di gas naturale liquefatto del 37,5%.
 
Per la ricostruzione si calcola che ci vorranno 175 miliardi di dollari. Cifre da capogiro, e a nulla valgono le rassicurazioni di Masaaki Shirakava, il governatore della Bank of Japan, che recentemente ha dichiarato che il deficit commerciale dell’impero del Sol levante non è “un trend stabile” e che è piuttosto attribuibile a “fattori temporanei”, come l’aumento della domanda di energia subito dopo il terremoto. I fatti dicono invece che la crisi e la stagnazione in cui versava l’economia giapponese ha ricevuto il colpo di grazia, e Tokyo ha dovuto arrendersi al primo deficit nella sua bilancia commerciale degli ultimi 30 anni. E questo, per un Paese che da sempre basa la sua ricchezza sull’export di beni ad alta tecnologia, di automobili e di prodotti di elettronica, rappresenta una sconfitta pesantissima.
 
Come risollevarsi? Il Giappone (proprio come l’Italia) può contare su un sistema bancario solido e non “corsaro”, come quello di molti altri Paesi, ma questo non basta. Molti analisti sono convinti che l’impero del Sol levante non riuscirà ad uscire dal guado prima del 2014. Il primo ministro Yoshihiko Noda invece crede che aprire i settori dell’agricoltura e dei servizi alle compagnie straniere rilancerebbe le esportazioni con gli Stati Uniti e il gruppo dei partner trans-Pacifici, oltre che con l’Europa. Ma il dibattito su come ricostruire e da dove cominciare a farlo resta aperto, dal momento che la deflazione persistente, la dipendenza dal settore dell’export e una popolazione sempre più anziana rappresentano sfide non indifferenti per la “restaurazione” dell’economia del Sol levante.
 
In più, e non è cosa da poco, quando le acque dello tsunami si sono ritirate hanno portato con sé anche la fiducia dei cittadini nipponici nei confronti delle istituzioni che li governano. Disinformazione sui reali danni e sulle conseguenze dell’incidente di Fukushima, soccorsi arrivati troppo tardi e un’agenzia governativa costituita ad hoc per la ricostruzione che ha aperto le porte a febbraio di quest’anno (ben 11 mesi dopo il terremoto), hanno allontanato ancora di più i giapponesi dai palazzi della politica, alimentando un senso generalizzato di sfiducia, come non si era mai registrato prima.
 
Il distacco si era già percepito nel 2009, quando dopo 55 anni pressoché continui di governi conservatori guidati dal Liberal democratic party (Ldp), Tokyo ha cambiato rotta, consegnando il Paese nelle mani dell’alleanza di sinistra, con a capo il Partito democratico (Dpj). Ma dall’11 marzo la disillusione e la sfiducia è cresciuta anche nei confronti dei volti nuovi al potere e i giapponesi si sono ripiegati nuovamente sull’unica forma di solidarietà che storicamente li ha resi così forti: quella basata sul vincolo di fiducia tra comunità locali organizzate. Questo, unito alla propensione a lavorare a testa bassa senza mai lamentarsi, rappresentano per il Giappone una risorsa antica, che può tornare molto utile in questi momenti bui.
 
La partita con il gigante cinese sembra ormai persa. Troppo grande (e galoppante) l’economia di Pechino, e a fronte di un progressivo indebolimento dell’influenza degli Stati Uniti nel Pacifico, Tokyo ha pensato bene di scendere a patti con i vicini. A dicembre dello scorso anno Cina e Giappone hanno concluso un accordo per eliminare dalle transazioni comuni il dollaro ed effettuare gli scambi solo in yen e yuan (o renminbi). Una scelta dalle conseguenze di una portata colossale, se si pensa che ogni anno la bilancia del commercio sino-nipponico fa segnare i 400 miliardi di dollari.
 
La Cina così ha la possibilità di rafforzare la sua valuta e il Giappone, praticamente orfano dei “protettori” americani, in questo modo può spegnere l’allarme rosso di un possibile intervento militare cinese. La pax economica tra Tokyo e Pechino, insomma, influenzerà anche quella dei mari e questo il Giappone, esperto di un isolamento che è durato per secoli, lo sa molto bene.
 
È nella sua tradizione più antica che l’impero del Sol levante ha sempre trovato la forza di rialzarsi. Hi-tech e animo da samurai. Fuor di retorica, ancora una volta sono queste le carte che Tokyo metterà sul tavolo per superare gli ostacoli e vincere la sfida. L’ha sempre fatto, anche quando nessuno ci credeva, come alla fine della Seconda guerra mondiale. Eppure, ecco l’impero lì al terzo posto, prima della Germania e dopo la Cina, nella classifica delle economie più potenti del mondo. I giapponesi sanno che per ottenere quello che si desidera bisogna lavorare tanto e aspettare con pazienza. Non sbagliano nemmeno questa volta.

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