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Le primarie, “il mistero imperfettamente glorioso” del Pd

“Le primarie per il Pd? Rimangono una sorta di mistero ´imperfettamente glorioso´”. Commenta così Massimiliano Panarari, docente di Comunicazione politica all’Università di Modena e Reggio Emilia e di marketing politico alla School of Government dell’Università Luiss Guido Carli, la vittoria dell´outsider Fabrizio Ferrandelli a Palermo.
 
“Il risultato delle primarie nel capoluogo siciliano, al netto del riconteggio che può rimodulare i giudizi, dimostra come sia grandissima la confusione sotto il cielo del centro-sinistra e della sinistra. A differenza di quanto diceva il compagno Mao, ´la situazione non è eccellente´”.
Spiega il politologo, “le primarie per il Pd da un lato sono uno strumento fondamentale, fortemente voluto dall´elettorato, dall´altro rappresentano una sorta di ´maledizione´ per il gruppo dirigente che governa di volta in volta il Pd, dal momento che si conferma la vittoria dei candidati non sostenuti dalla leadership”.
 
In ogni caso, continua Panarari, “il quesito della trasformazione della foto di Vasto in coalizione o della scelta dell´asse strategico con il terzo Polo continua a rimanere una sorta di spada di Damocle per il Pd. A questo punto, per chiarire la situazione, come accade in tutti i partiti progressisti europei, occorre arrivare a una discussione forte, probabilmente a un congresso dal quale devono uscire, in modo netto e inequivocabile, una maggioranza e una minoranza. Perché – spiega l´autore di L´egemonia sottoculturale (Einaudi) – l´embrassons-nous dietro il quale spesso si vedono rilucere le lame dei coltelli fa molto tradizione della politica italiana ma non non può servire al centro-sinistra per aspirare nuovamente al governo, soprattutto oggi che il governo Monti rappresenta indiscutibilmente una cartina di tornasole che porterà ad una serie di modifiche al nostro sistema politico-partitico”.
 
Questa sequenza di primarie ´sbagliate´, per il massmediologo, pone una questione di fondo: “Un Pd che non riesce a esprimere una linea comune e quindi neppure un´adeguata agibilità politica rischia di condannare se stesso e la sua constituency elettorale più fedele all´inazione e alla non spendibilità nel contesto sociale e nel mercato politico. E allora, come direbbe qualcuno, ´forse c´era un vizio all´origine´ di non perfetta compatibilità tra le culture politiche che stanno a fondamento del progetto e – conclude – questo ci rimanda al tema dell´identità attuale del partito che rimane, in parte, ancora da sciogliere”.
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