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Pilato e la abolizione del valore legale del titolo di studio

E’ stata lanciata la consultazione web sulla abolizione del valore legale del titolo di studio. Ne “Il ‘Crufige!’ e la democrazia”, Gustavo Zagebrelsky denuncia la decisione di Pilato di rimettere alla piazza la liberazione di Barabba o Gesù. Sappiamo come è andata a finire. Ha vinto chi era meglio organizzato e gridava di più. Non ha trionfato la giustizia, ma la forza. Ora, a che titolo i risultati della consultazione web possono essere fonte di legittimazione per il Governo? Il web è un fantastico terreno di coltura per gli zeloti del XXI secolo: è il regno dei contatori: è, tipicamente, preordinato a registrare la vittoria di chi grida e non di chi ha ragione, della quantità e non della qualità. Può un governo tecnico vincolarsi all’opinione pubblica? Delle due, l’una: o la questione della abolizione del valore legale del titolo di studi è politica e allora, almeno in via di principio, non dovrebbe essere affrontata dal governo tecnico; o è tecnica e, allora, non dovrebbe essere soggetta ad una verifica di consenso (per di più, mediatico). Se è vero che la società post-moderna rinnega il reale a favore del consenso, è altresì vero che il consenso può essere fonte di legittimazione solo se “misurabile” sulla base di regole preventivamente definite. La storia insegna che il metodo Pilato ha avuto un grande successo nei regimi non propriamente democratici. E’ per questo che, anche quando sussistono le migliori intenzioni, non può essere avallato. Io non voterò perché qui – ancora prima del già rilevante oggetto della consultazione (l’abolizione del valore legale del titolo di studio) che meriterebbe, secondo i principi della democrazia partecipativa, un dibattito informato prima della consultazione pubblica – ad essere messe in discussione sono le stesse regole del gioco democratico. A prescindere dai risultati, una massiccia partecipazione alla consultazione web segnerebbe il trionfo del metodo Pilato. Ed è un rischio, questo, che non possiamo permetterci di correre. Antonio Maria Leozappa

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